Assalto in Toscana, il commando dei sardi: 12 uomini e nessun capo
Solo ruoli e disciplina: Moni il logista, Campus l’osservatore, Sulis il ponte
Sassari Non c’era un capo. O almeno non fa capolino nell’ordinanza. Se c’è, ha già tessuto la tela e ora sta dietro le quinte. Nell’ordinanza invece ci sono ordini, disciplina, ruoli. Ciò che si delinea, è una banda orizzontale, ognuno sa qual è il suo compito, nessuno chiede spiegazioni.
Antonio Moni apre il capannone. Franco Piras e Francesco Palmas tracciano la rotta. Marco Sulis connette. Salvatore Campus osserva. Gli altri eseguono. Tutti con telefoni senza memoria. Tutti con biglietti del traghetto comprati nel silenzio. Solo dodici uomini che si muovono come se fossero un unico corpo, ma senza una testa che si stacchi dalle altre. È il crimine moderno. Senza generali, senza gerarchie. Ma con un’organizzazione più liquida, che dovrebbe sparire dopo il colpo.
Il Logista – Antonio Moni
È il logista silenzioso, il padrone del capannone di Castelnuovo Val di Cecina, dove il piano ha preso forma e dove due uomini, Palmas e Piras, si sono nascosti la notte del colpo. Lui dormiva in macchina, loro su delle coperte per terra, in mezzo a una nebbia di cenere ancora calda: lì dentro, bruciato in fretta, c’era un Nokia 106, uno dei telefoni “citofono” usati per la rapina. Moni non spara, non corre, non appare nei video dell’assalto. Ma è lui che tiene la porta aperta, accoglie, copre, distrugge. Un uomo che parla poco e, quando parla, dice frasi come: «Devo pulire la grotta».
I coordinatori – Franco Piras e Francesco Palmas
Due uomini d’ordine. Due che si muovono prima degli altri. Il 26 marzo, due giorni prima della rapina, sbarcano a Livorno su un Fiat Ducato intestato a un prestanome. Sono loro che dormono nel capannone di Moni. Sono loro che trasportano, organizzano, parlano per ultimi con i telefoni usa e getta. Sono anche quelli che tornano in Sardegna subito dopo il colpo, a bordo della Moby Aki, senza voltarsi. Uno dei due – pare Piras – ha addosso un bigliettino con due numeri telefonici. Basta quello per legare il gruppo, come i nodi di una rete.
Il ponte mobile – Marco Sulis
Non guida, ma connette. Non dà ordini, ma li fa circolare. Sulis è il ponte invisibile tra le isole e la terraferma. Tra il gruppo di Palmas-Piras e gli esecutori. Lo si trova sui traghetti, da solo o con altri. Lo si ritrova nei movimenti dei telefoni “burner”. È lui che tiene insieme i fili del piano, che accompagna, che collega. È il nodo, il collante. Nessuna telefonata esplicita. Nessun ordine. Ma ovunque si guardi, lui c’è. Come se avesse in mano la mappa del gruppo. Come se tutti si fidassero di lui abbastanza da seguirlo.
L’Osservatore sul campo – Salvatore Campus
Ore 18:02, 28 marzo. Campus è al centro commerciale di Cecina. I furgoni blindati escono dal parcheggio. Lui li vede. E fa una chiamata brevissima. È la miccia che accende tutto. È l’occhio sul campo, il sensore umano che traduce il movimento in un ordine criptato. In seguito sparisce. Riemerge solo nei tabulati.
Gli Esecutori – Tilocca, Mura, Columbu, Rocca, Cherchi, Fois
Non parlano. Viaggiano. Agiscono. Alcuni sbarcano a Civitavecchia. Altri arrivano da Olbia. Tutti con lo stesso stile: sparire dentro veicoli rubati, spegnere i telefoni personali, accendere i “citofoni”. Alcuni di loro erano presenti nei mesi precedenti ai furti dei Suv usati nel colpo. Altri compaiono nei tabulati incrociati. Sono le braccia. Sono quelli che (si presume) puntano i kalashnikov, bloccano le strade, prendono le pistole delle guardie giurate. Nessun gesto eclatante, solo precisione e disciplina. Come soldati in un commando.
Il fantasma – Antonio Stochino
Il suo nome compare più volte. Viaggia con altri membri. Forse ha partecipato al furto dei furgoni a Siena, usati per bloccare l’Aurelia. Ma il suo ruolo resta sfumato, al punto che per lui la custodia cautelare non viene confermata. Ma rimane comunque nei radar degli inquirenti.