Allergie alimentari, cosa fare per non rischiare la vita: i consigli dell’esperto
Roberto Manetti, allergologo e direttore della Struttura Complessa di Clinica medica dell’Aou di Sassari spiega alcune regole d’oro
Sassari Una ragazza statunitense morta dopo aver mangiato degli arachidi ai quali era allergica. Un tranviere milanese deceduto per un’intossicazione da calamari contaminati: le reazioni avverse agli alimenti possono essere pericolose e talvolta letali. Ma di che tipo di reazioni si tratta? E soprattutto, come si riconoscono, si prevengono e si curano? Il professor Roberto Manetti, allergologo e direttore della Struttura Complessa di Clinica Medica dell’AOU di Sassari, è tra i massimi esperti nel campo delle allergie alimentari. «Facciamo subito una distinzione: le reazioni tossiche – come nel caso del tranviere di Milano – sono legate alla presenza di sostanze dannose nell’alimento, come batteri, virus o tossine, che possono colpire chiunque, indipendentemente dal proprio sistema immunitario. Parliamo quindi di vere e proprie intossicazioni alimentari. Le reazioni non tossiche, invece, dipendono da una particolare condizione del soggetto e si suddividono ulteriormente in reazioni immunomediate – cioè allergiche – e non immunomediate, come ad esempio l’intolleranza al lattosio o il favismo».
Cosa succede esattamente durante una reazione allergica alimentare?
«Nel caso delle allergie alimentari, il protagonista è il sistema immunitario, che commette un “errore di identificazione”: riconosce come pericoloso un alimento che in realtà non lo è. In risposta, produce degli anticorpi specifici chiamati immunoglobuline E, o IgE. Queste IgE restano in circolo nel corpo della persona allergica e, al successivo contatto con quell’alimento – anche in quantità minime – scatenano una reazione a catena che porta alla liberazione di sostanze infiammatorie, come l’istamina. Ed è questa risposta infiammatoria che provoca i sintomi clinici dell’allergia. Le manifestazioni possono essere molto varie: da forme lievi come prurito, gonfiore a labbra e lingua (la cosiddetta sindrome orale allergica), fino a sintomi gastrointestinali, orticaria, crisi respiratorie, e nei casi più gravi, shock anafilattico».
Lo shock anafilattico è quindi la forma più grave di reazione allergica?
«Esattamente. Lo shock anafilattico è una reazione allergica sistemica, rapidissima e potenzialmente letale. Non è qualcosa di diverso dall’allergia: è una delle sue manifestazioni più gravi. Può essere scatenato da alimenti, farmaci, punture di imenotteri come vespe o api, e insorge in pochi minuti. I sintomi iniziali sono spesso subdoli: un senso di costrizione alla gola, un cambiamento della voce, prurito improvviso a mani e piedi, una sensazione di malessere generale. Poi arriva la fase acuta: calo improvviso della pressione arteriosa, difficoltà respiratoria, perdita di coscienza. La rapidità è la vera insidia. In pochi minuti la situazione può precipitare. Ecco perché è fondamentale che chi sa di essere allergico sia preparato e dotato degli strumenti giusti per intervenire immediatamente.»
Cosa dovrebbe fare una persona allergica per proteggersi?
«La prima cosa è la consapevolezza. Chi ha avuto una reazione allergica deve rivolgersi a uno specialista allergologo per un’accurata diagnosi. Durante la visita, la raccolta della storia clinica (l’anamnesi) è fondamentale. Poi si procede con test cutanei e esami del sangue per misurare le IgE specifiche. Oggi, grazie alla diagnostica molecolare, possiamo anche valutare il profilo di rischio dell’allergia: ad esempio, sapere se è una forma lieve o potenzialmente grave. Una volta fatta la diagnosi, bisogna evitare categoricamente l’alimento incriminato, in tutte le sue forme. Questo significa leggere attentamente le etichette, informarsi nei ristoranti, evitare possibili contaminazioni. Un allergico al latte, ad esempio, non deve solo evitare yogurt e formaggi, ma anche prodotti che contengono proteine del latte nascoste, come la caseina usata in alcuni insaccati o salse industriali».
E in caso di emergenza? Cosa serve per affrontare una crisi anafilattica?
«Serve un kit con adrenalina autoiniettabile, che il paziente deve portare sempre con sé, in borsa, nello zaino, ovunque. L’adrenalina è il farmaco salvavita che può bloccare lo shock anafilattico e guadagnare tempo prezioso fino all’arrivo dei soccorsi. Purtroppo, nella tragedia della ragazza statunitense morta per un’allergia alle arachidi, si ipotizza che non avesse con sé l’adrenalina, oppure che non sia stata usata in tempo. È una lezione durissima. Non possiamo mai prevedere quando si verificherà una reazione, ma possiamo farci trovare pronti. Io insisto sempre su questo con i miei pazienti: l’adrenalina va portata sempre, non lasciata a casa. È un dispositivo piccolo, maneggevole, oggi anche molto intuitivo da usare. E può fare davvero la differenza tra la vita e la morte».
C’è abbastanza consapevolezza, secondo lei, nella popolazione generale e tra i ristoratori o nelle scuole?
« Spesso si sottovaluta il rischio, si tende a minimizzare, a pensare che un’allergia sia solo un fastidio. In realtà è una condizione potenzialmente mortale che deve essere gestita con rigore. Anche chi prepara o serve cibo ha delle responsabilità: conoscere gli allergeni, evitare contaminazioni in cucina, essere trasparenti con i clienti». In sintesi, qual è il messaggio che vuole lasciare ai lettori? «Vorrei dire tre cose: la prima, non sottovalutate mai un’allergia alimentare, anche se i sintomi iniziali sono lievi. La seconda, rivolgetevi a uno specialista per una diagnosi precisa e una corretta gestione. E la terza, portate sempre con voi l’adrenalina. È un gesto semplice, ma può salvare la vita».