Gli ori di Tharros trafugati nell’800 si trovano al British Museum
A Londra i 275 reperti: la Fondazione Mont’e Prama chiede la restituzione
Cabras Non saranno i fregi del Partenone, ma sono comunque preziosi e anche questi non stanno a casa loro. Sono gli ori di Tharros, trafugati nel 1800 e ospitati al British Museum di Londra. L’imminente ritorno a Cabras di 275 reperti, acquisiti dal Museo di Brighton fra il 1861 e il 1874, segna senza dubbio una svolta storica per l’archeologia sarda, dopo che per secoli Tharros è stata depredata e saccheggiata dei suoi tesori, ma questa del British Museum è una storia, per quanto possibile, ancora più intrigante.
«Le rovine di Tharros – spiega Ilaria Orri, archeologa curatrice dell’area archeologica – rimasero a lungo visibili e di conseguenza furono sfruttate per secoli come cava di materiali per edificare costruzioni nella vicina Oristano e nei nuovi centri urbani del Giudicato di Arborea. Così vennero asportate colonne e capitelli, smantellati blocchi di arenaria e di basalto che un tempo componevano le case e i lastricati delle strade romane e, probabilmente, vennero trafugati anche i primi oggetti preziosi».
A partire dal XIX secolo, poi, «nasce il mito degli ori di Tharros – racconta l’archeologa –, ancora oggi ammantati da un’aura ricca di fascino. Gioielli in oro, in argento, in una lega d’oro e d’argento chiamata elettro, in bronzo e in pietre dure. Ci sono poi amuleti di varie forme e materiali, oggetti in avorio, ceramiche d’importazione, statuette, monete e manufatti in vetro. Appartenevano soprattutto a sepolture di epoca punica tra il VII e il IV secolo avanti Cristo, in minor misura a tombe romane del periodo tra il III secolo avanti Cristo e il IV secolo dopo Cristo, e più recentemente bizantine del VI e VII secolo dopo Cristo. Gli oggetti vennero recuperati da scavi regolarmente autorizzati, ma anche da scavi clandestini, operati da tombaroli e personaggi di dubbia moralità».
Tharros è stata così oggetto di depredazione per secoli, tanto che oggi «esemplari provenienti dal sito archeologico sono esposti sia in musei italiani che stranieri: tra i più famosi il Museo delle Antichità di Torino, il Museo Pigorini di Roma, i Musei Archeologici Nazionali di Cagliari e di Sassari, il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra, e, oltrepassando l’oceano, il Museum of Fine Arts di Boston, il Metropolitan Museum of Art di New York e persino il Canterbury Museum di Christchurch, in Nuova Zelanda».
Già nella prima metà del XIX secolo sono diversi gli episodi curiosi ed eclatanti, ma è a partire dal 1851 che la depredazione di Tharros assume carattere di devastazione. «Lord Vernon, un personaggio affascinato dalla cultura italiana e dalle ricchezze del Sinis, grazie ai buoni uffici del Marchese Boyl, che lo ebbe ospite nel suo palazzo di Milis, con una squadra di operai locali scavò quattordici tombe puniche e romane – racconta Ilaria Orri –. I materiali di pregio rinvenuti furono trasportati a Firenze, sua città d’adozione».
Ben presto si scatenò all’epoca una funesta “corsa all’oro” in quella che venne definita Piccola California. «Gli abitanti dei paesi limitrofi, nell’aprile del 1852, saccheggiarono l’intera area funeraria, devastandola completamente. Squadre di circa cinquecento cercatori, per più di tre settimane, derubarono e distrussero un numero considerevole di tombe, utilizzando anche cariche esplosive, che provocarono incidenti mortali e danni irreversibili al promontorio».
Come racconta il canonico Giovanni Spano, padre dell’archeologia sarda, «un centinaio di tombe fu violato e tantissimi oggetti appartenenti ai corredi funerari dispersi o venduti ai signori oristanesi. Una parte fu portata a Cagliari e fusa per creare nuovi gioielli, oppure conservata nelle case della zona, che divennero piccoli musei».
Nemmeno i regi decreti fermarono la depredazione. «Gaetano Cara, direttore del Museo di Cagliari, fra il 1853 e il 1856, con uno dei suoi figli, sotto le mentite spoglie del comandante Barbetti e del banchiere Olivetti, curò la vendita di molti reperti di pregio rinvenuti con gli scavi ufficiali nell’area funeraria. Il British Museum acquistò complessivamente 1.771 pezzi al prezzo di mille sterline, che andarono a formare la Grande raccolta sarda, mentre un lotto di materiali da 2.643 pezzi fu battuto all’asta da Christie’s a Londra. Antiquari, collezionisti e cercatori occasionali continuarono le attività di depredazione nei decenni successivi».