La testimonianza di Chiara: «Ho scelto l’aborto volontario, mi hanno trattata con disprezzo»
Il racconto: «Ne ho subito un altro, naturale, ed è cambiato tutto: ho avuto supporto e attenzioni»
Sassari «Non volevo subire il loro giudizio. Invece era come una punizione. Medici, infermiere, tutto il personale mi ha lasciata sola». Quando Chiara decide di avere un aborto volontario ha 40 anni, è il 2016, vive in Lombardia. Chiara è un nome di finzione, la donna sarda che ha deciso di raccontarsi ha chiesto l'anonimato. La storia è delicata. Nove anni fa ha scelto di avere un aborto volontario, ma l'esperienza si è rivelata «un incubo». Quattro anni dopo ha avuto un altro aborto, stavolta spontaneo. E attraversare lo stesso percorso, ma con un trattamento diverso, l'ha fatta riflettere. Sono esperienze vissute sulla propria pelle che diventano traumi e poi cicatrici. «Perché ho deciso di raccontarmi adesso? In Sardegna è il momento giusto, se ne sta discutendo. E sai, finora ne ho parlato ma sembrava di trovare il vuoto attorno. Adesso c'è più consapevolezza e sensibilità».
Il racconto L'incubo risale a nove anni fa. «Quando ho scoperto di essere incinta sono andata nel panico, non volevo. E mi sono accorta che un mio diritto sulla carta non era così facile da realizzare — racconta Chiara, che in quel momento era già mamma e oggi ha due figli —. Abitavo in Lombardia. Nella mia provincia, a Varese, non c'era alcun consultorio. Mi sono spostata a Milano, e neanche uno mi ha supportata. Intanto passavano le settimane e cresceva in me l'ansia di non essere più in tempo per abortire». Dopo più di un mese riesce a prendere appuntamento per una visita, all'ospedale Mangiagalli di Milano, per l'interruzione di gravidanza. La difficoltà maggiore, spiega la donna, è stata trovare un medico non obiettore. Ma l'incubo vero si concretizza proprio tra i corridoi ospedalieri: in mano ha solo un ticket per sottoporsi a un intervento di raschiamento «...e senza anestesia totale. Lo ricordo bene perché ricordo il dolore fortissimo, e i dolori che continuarono per due settimane». La sofferenza fisica, spiega con voce calma Chiara è sovrastata da quella emotiva: «Il distacco totale del personale, l'assenza di spiegazioni, o un semplice “come stai?”. Mi ha fatto malissimo».
La seconda volta Quattro anni dopo Chiara deve abortire di nuovo, stavolta contro la sua volontà. Quel figlio lo avrebbe voluto. L'interruzione spontanea della gravidanza è un duro colpo, «nel frattempo sono tornata nell'isola. Al Policlinico universitario di Monserrato, a Cagliari, mi dicono che è necessario un raschiamento, di nuovo». Stessa storia, copione capovolto. L'operazione è sotto anestesia totale, gli sguardi dietro i camici finalmente rincuoranti, le attenzioni nei suoi confronti continue. «Ho sentito un grande supporto umano, la ginecologa stessa mi invitò a non scoraggiarmi e a riprovarci». Ecco, l'unico (grande) neo è che, vuoi per gli spazi — era il periodo del covid — o per una disattenzione, Chiara viene sistemata accanto a una donna che quel giorno invece partoriva. «Mentre io avrei dovuto abortire, vedevo la sua felicità nascere. Non è stato bello».
I diritti A spingere Chiara a parlare è stato proprio ripensare, dopo anni, a quell’abisso tra un aborto e l'altro. «Notare la differenza di trattamento in base alla volontarietà o meno della mia decisione mi ha fatto male. Hai accesso a un tuo diritto, ma se non vieni a sapere delle modalità, se non hai scelta e se subisci il giudizio, è come non averlo». Adesso la Sardegna propone la sperimentazione dell'interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmaceutico e non per forza in ospedale, ma in consultorio o addirittura a casa. «Lo dico: in generale in Sardegna siamo più sensibili su certi temi, in Lombardia non importava niente di come mi sentissi e parliamo di appena nove anni fa». La strada giusta, lo dice con le cicatrici sulla pelle, è quella che porta a non avere dolori fisici, sociali, morali, che possano ostacolare le scelte della propria vita.