La Nuova Sardegna

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Olbia – Livorno, la rotta del riciclaggio: come la mafia cinese ripulisce i soldi sardi

di Luigi Soriga
Olbia – Livorno, la rotta del riciclaggio: come la mafia cinese ripulisce i soldi sardi

Arrestati due commercianti orientali residenti a Cagliari: 160mila euro nell’auto

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Sassari Il denaro sporco puzza eccome. Anche se lo schiacci sotto il sedile posteriore di un’auto, in tre sacchetti di nylon, stipati con la cura che si riserva ai gioielli. Un odore lo lascia. In questo caso quei mazzetti di banconote, 160mila euro in tutto, sapevano di evasione.

La Guardia di Finanza due mesi fa ha fiutato la scia del riciclaggio nel porto di Livorno. Una vettura era appena sbarcata dalla Moby Aki. Provenienza: Olbia. Destinazione finale: Prato, patria sommersa della più grande comunità cinese d’Italia. Al volante due cittadini cinesi residenti in Sardegna: Lei Quifeng, 61 anni, e Linkxin Yang, 36, fermati con 160mila euro in contanti ben nascosti. Più altri 2.300 euro in tasca. Secondo la Cassazione, il reato è nato a Cagliari, non a Livorno. E infatti ha tolto l’inchiesta alla procura toscana per girarla a quella sarda. Ma il problema non è dove. Il problema è cosa.

La mafia col doppio fondo La mafia cinese è potente, metodica e disciplinata. Muove milioni in contanti tra la zona industriale di Cagliari e il cuore pulsante della “China Town” di Prato.

Ma questo è solo un tassello del grande puzzle del riciclaggio nazionale. I due cinesi erano di passaggio. Ma i soldi, quelli no. Confezionati in Sardegna, frutto di reati fiscali, avvolti nella plastica, pronti per essere ripuliti nella grande lavatrice orientale. Nessuna valigetta. Nessun bonifico. Solo euro su euro, passati di mano come banconote da Monopoli, poi smaterializzati nel denaro digitale delle carte di credito, con cui comprare orologi, convertire valuta, far rientrare soldi sporchi puliti.

Cagliari–Prato: andata e ritorno Quattro passaggi: si raccoglie il contante nelle aziende cinesi in Sardegna (via del Fangario) , si carica su un’auto, si attraversa il Tirreno, si cambia tutto in Yuan su carte prepagate cinesi, e infine si acquistano orologi di lusso, borse, gioielli. Il bene rifugio è il nuovo caveau. Ogni settimana la stessa auto. Stessa targa, stesso tragitto. Una Bmw Serie 2 che viaggia da Cagliari a Prato con una puntualità svizzera. Fermate “strategiche” in autogrill, pieni di benzina come se ci fosse il Sahara da attraversare. Poi lo sbarco a Livorno. E il bottino nel doppiofondo.

In un sequestro precedente, la Guardia di Finanza ha trovato 510mila euro in buste sottovuoto. In un altro, 246mila euro, condita con peperoncino per ingannare i cani. Dentro, sempre gli stessi ingredienti: banconote app di messaggistica come WeChat per comunicare ordini di cambio valuta e contatti bancari.

Il cassiere che fa scomparire i milioni Al centro del meccanismo, Yongsheng Yang, 46 anni, residente a Cagliari. Lo chiamano il “cassiere”, ma in realtà è molto di più: è la centralina, il nodo, la chat. Decide chi paga e chi guadagna. Incassa 350 euro ogni 10.000 convertiti in Yuan. E ne ha trasformati tanti, a giudicare dal suo telefono sequestrato: oltre 3 milioni di euro in tre anni, 590 transazioni nel solo 2021, per un valore di 7,2 milioni di euro. A casa sua, oltre a soldi e preziosi, hanno trovato la geografia del sistema. Una Sardegna fatta di capannoni che non emettono fatture. Una Toscana fatta di negozi che vendono lusso. In mezzo, un sistema criminale che ha inventato una via orientale al riciclaggio

Manca solo il finale Cosa succede ai Rolex, ai Patek Philippe, alle borse griffate? Non è chiaro. Finiscono in Asia? Vengono rimessi sul mercato italiano già ripuliti? Nessuno sa esattamente dove finisca la catena. E questo è il pezzo che manca al puzzle, quello che spinge gli inquirenti a continuare le perquisizioni, sia in Sardegna che a Prato.

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