Pino Rinaldi: «Il mostro di Firenze è sempre stato soltanto uno»
Il giornalista sui nuovi sviluppi dell’inchiesta che riaprono la pista sarda dei fratelli Vinci di Villacidro
«Il Mostro è sempre stato soltanto uno. C’è un solo responsabile di tutti i delitti commessi in provincia di Firenze tra il 1968 e il 1985. Gli indizi sono chiari. E chi ha raccontato in passato e racconta oggi una storia diversa o non conosce gli atti oppure è in malafede. Pensate davvero sia possibile che una stessa arma, la Beretta calibro 22, possa passare di mano nel corso degli anni e commettere lo stesso reato?». Giuseppe “Pino” Rinaldi, 64 anni, è uno degli ultimi giornalisti italiani ad aver consumato le suole delle scarpe inseguendo i più importanti misteri che hanno attraversato il Paese: dall’omicidio di Melania Rea, fino al suo scoop più famoso, la confessione in diretta di Ferdinando Carretta che all’allora inviato di “Chi l’ha visto? ” raccontò lo sterminio della famiglia dall’Inghilterra.
Non le sembra incredibile, a quasi 60 anni di distanza, che il dna sveli che Natalino Mele, scampato all’uccisione della madre e del suo amante, non fosse il figlio di Stefano Mele ma di Giovanni Vinci?
«Non sembra incredibile. È incredibile. Ma questo conferma come esista solo una pista vera e intelligente che purtroppo doveva essere seguita dall’inizio e che invece venne abbandonata per l’orgoglio di Piero Luigi Vigna e di Mario Rotella. Il primo fece arrestare nel 1982 Francesco Vinci, ma il Mostro continuò a colpire, il secondo invece mise in carcere Giovanni Mele e Piero Mucciarini ma anche in quel caso i delitti non si fermarono».
Perché il delitto di Barbara Locci e dell’amante con questa nuova informazione assume un valore diverso?
«Perché spiega alcuni passaggi chiave. Intanto non si tratta di un delitto d’onore come venne inizialmente archiviato. Bensì di un accordo tra le famiglie Mele e Vinci. Un’esecuzione come rivelò il rapporto Torrisi che negli anni Ottanta guidava la compagnia di Ognissanti a Firenze».
Il motivo?
«Sostanzialmente due. Il primo era che Barbara Locci pagava i suoi amanti con i soldi presi da un risarcimento seguito a un incidente e questo alla famiglia Mele non stava bene, il secondo è che la donna negli ultimi tempi non voleva più rapporti con Salvatore e il marito e questo Vinci non lo sopportava».
Quindi la notte tra il 21 e il 22 agosto venne uccisa con l’amante ma il figlio venne risparmiato. Ma chi era sul luogo del delitto?
«Sicuramente Giovanni Mele e Salvatore Vinci. Ci sono indizi che sarebbe stato quest’ultimo a sparare (con la Beretta calibro 22 mai trovata?, ndr)».
L’intervista integrale nell’edizione cartacea e digitale della Nuova Sardegna di giovedì 24 luglio