De Pascale, Confindustria: «Con i dazi al 15% i prodotti sardi rischiano di essere penalizzati»
«L’accordo Usa-Europa ha evitato il peggio. Si deve affrontare il nodo della tassa sulle emissioni nei trasporti di merci via mare»
Sassari «Abbiamo evitato il peggio, ma resta una tassazione al 15% che pesa sulle nostre imprese. Tuttavia, il vero dazio, quello che la Sardegna paga ogni giorno, è l’inadeguatezza delle infrastrutture: trasporti, logistica e connessioni che non sono all’altezza di un sistema produttivo moderno». A parlare è Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna, che analizza gli effetti dell’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea. Un’intesa che evita lo scontro commerciale ma che lascia sul tavolo misure penalizzanti per settori chiave come l’agroalimentare.
Come giudica l’introduzione dei dazi al 15%?
«I dazi sono quanto di peggio ci possa essere nel libero mercato. Tuttavia, l’accordo ha permesso di contenere i danni: si poteva arrivare a molto di più. Il 15% sembra che includa già un dazio del 4-5% introdotto con l’amministrazione Biden, quindi l’aggravio reale è di circa 10 punti».
Che impatto concreto avrà sulle imprese sarde?
«La Sardegna esporta soprattutto prodotti agroalimentari e dell’agroindustria. Per il pecorino romano il 15%, rappresenterebbe un incremento molto rilevante. Parliamo di una filiera che ha trovato negli Stati Uniti un mercato di sbocco importante e consolidato. È chiaro che una tassazione così elevata rischia di essere molto penalizzante».
Il nuovo scenario commerciale è destinato a durare?
«L’accordo va letto in una logica di scambio più ampia. L’UE ha ottenuto maggiori forniture di gas naturale liquido dagli Stati Uniti, a prezzi più bassi. È un’operazione da circa 600-750 miliardi che porta benefici anche alla Sardegna, con i rigassificatori previsti a Porto Torres e Oristano. Insomma, i dazi sono il prezzo politico di un compromesso economico più grande».
Cosa può fare la Regione Sardegna per aiutare i comparti più colpiti?
«Le imprese hanno bisogno di condizioni strutturali che rendano sostenibile produrre ed esportare. Serve un piano infrastrutturale. La Regione ha 12 miliardi da spendere: un’occasione unica per rivoluzionare il sistema. Un anno è già passato. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».
Quali sono le opere più urgenti da realizzare?
«Innanzitutto sulla rete ferroviaria. È inaccettabile che nel 2025 la Sardegna abbia ancora collegamenti a scartamento ridotto e solo 40 km di doppio binario su 370. Poi servono interventi sui collegamenti interni tra territori e la logistica legata ai porti. Ma non solo: c’è un progetto fondamentale, il cavo dati del Consorzio Garr, che collegherà il Nord Europa a Genova e poi a Olbia. Se completato, potrebbe rendere la Sardegna una piattaforma avanzata per i big data e l’intelligenza artificiale. È l’infrastruttura immateriale di cui abbiamo urgente bisogno».
Dallo Stato e dall’Unione Europea invece cosa si aspetta?
«Intanto che venga applicata la Costituzione. L’insularità è stata finalmente riconosciuta, ma solo sulla carta. È ora di ottenere deroghe concrete, a partire dall’Ets, la tassa sulle emissioni per le merci trasportate via mare».
Sta dicendo che l’Ets è oggi più dannoso dei dazi ?
«Assolutamente sì. Confindustria ha fatto uno studio: a regime, l’impatto dell’Ets sarà pari a una tassa del 30% sui prodotti sardi esportati. È una misura che colpisce la nostra economia in modo trasversale, a prescindere dai mercati di destinazione. Per questo stiamo facendo pressione a Bruxelles: io stesso sono stato dal vicepresidente Fitto per portare questa istanza. Ma serve che anche la Regione sia in prima fila».