La Nuova Sardegna

L’intervista

De Pascale, Confindustria: «Con i dazi al 15% i prodotti sardi rischiano di essere penalizzati»

di Massimo Sechi
De Pascale, Confindustria: «Con i dazi al 15% i prodotti sardi rischiano di essere penalizzati»

«L’accordo Usa-Europa ha evitato il peggio. Si deve affrontare il nodo della tassa sulle emissioni nei trasporti di merci via mare»

3 MINUTI DI LETTURA





Sassari «Abbiamo evitato il peggio, ma resta una tassazione al 15% che pesa sulle nostre imprese. Tuttavia, il vero dazio, quello che la Sardegna paga ogni giorno, è l’inadeguatezza delle infrastrutture: trasporti, logistica e connessioni che non sono all’altezza di un sistema produttivo moderno». A parlare è Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna, che analizza gli effetti dell’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea. Un’intesa che evita lo scontro commerciale ma che lascia sul tavolo misure penalizzanti per settori chiave come l’agroalimentare.

Come giudica l’introduzione dei dazi al 15%?

«I dazi sono quanto di peggio ci possa essere nel libero mercato. Tuttavia, l’accordo ha permesso di contenere i danni: si poteva arrivare a molto di più. Il 15% sembra che includa già un dazio del 4-5% introdotto con l’amministrazione Biden, quindi l’aggravio reale è di circa 10 punti».

Che impatto concreto avrà sulle imprese sarde?

«La Sardegna esporta soprattutto prodotti agroalimentari e dell’agroindustria. Per il pecorino romano il 15%, rappresenterebbe un incremento molto rilevante. Parliamo di una filiera che ha trovato negli Stati Uniti un mercato di sbocco importante e consolidato. È chiaro che una tassazione così elevata rischia di essere molto penalizzante».

Il nuovo scenario commerciale è destinato a durare?

«L’accordo va letto in una logica di scambio più ampia. L’UE ha ottenuto maggiori forniture di gas naturale liquido dagli Stati Uniti, a prezzi più bassi. È un’operazione da circa 600-750 miliardi che porta benefici anche alla Sardegna, con i rigassificatori previsti a Porto Torres e Oristano. Insomma, i dazi sono il prezzo politico di un compromesso economico più grande».

Cosa può fare la Regione Sardegna per aiutare i comparti più colpiti?

«Le imprese hanno bisogno di condizioni strutturali che rendano sostenibile produrre ed esportare. Serve un piano infrastrutturale. La Regione ha 12 miliardi da spendere: un’occasione unica per rivoluzionare il sistema. Un anno è già passato. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

Quali sono le opere più urgenti da realizzare?

«Innanzitutto sulla rete ferroviaria. È inaccettabile che nel 2025 la Sardegna abbia ancora collegamenti a scartamento ridotto e solo 40 km di doppio binario su 370. Poi servono interventi sui collegamenti interni tra territori e la logistica legata ai porti. Ma non solo: c’è un progetto fondamentale, il cavo dati del Consorzio Garr, che collegherà il Nord Europa a Genova e poi a Olbia. Se completato, potrebbe rendere la Sardegna una piattaforma avanzata per i big data e l’intelligenza artificiale. È l’infrastruttura immateriale di cui abbiamo urgente bisogno».

Dallo Stato e dall’Unione Europea invece cosa si aspetta?

«Intanto che venga applicata la Costituzione. L’insularità è stata finalmente riconosciuta, ma solo sulla carta. È ora di ottenere deroghe concrete, a partire dall’Ets, la tassa sulle emissioni per le merci trasportate via mare».

Sta dicendo che l’Ets è oggi più dannoso dei dazi ?

«Assolutamente sì. Confindustria ha fatto uno studio: a regime, l’impatto dell’Ets sarà pari a una tassa del 30% sui prodotti sardi esportati. È una misura che colpisce la nostra economia in modo trasversale, a prescindere dai mercati di destinazione. Per questo stiamo facendo pressione a Bruxelles: io stesso sono stato dal vicepresidente Fitto per portare questa istanza. Ma serve che anche la Regione sia in prima fila».

Primo piano
Inferno di fuoco

Trovati tre inneschi a Punta Molentis: le indagini della forestale

di Gian Carlo Bulla
Le nostre iniziative