Il fantino Aceto: «Ho lasciato l’isola per salvarmi, qui sarei diventato un bandito»
Alla presentazione del Palio di Fonni ricorda la sua infanzia: «Quando i miei coetanei andavano a scuola io facevo il capraro a Olbia»
Inviata a Fonni «Ecco, la verità è che non volevo restare povero. Quando i miei coetanei andavano a scuola, io facevo il capraro a Olbia, e non mi vergogno. Non volevo restare povero: per quello sono andato in Continente e sono diventato Aceto. Se fossi rimasto qui sarei finito a fare il bandito». Occhiali scuri, camicia chiara, giacca stretta tra le mani perché a Fonni c’è un bel tepore, e il piglio deciso che dalla natìa Olbia dopo un lungo percorso lo ha fatto conoscere in tutto il mondo come vero re del Palio di Siena con 14 palii vinti e un record che tutt’ora è imbattuto anche dal campione Tittia.
«Lui è molto bravo a cavallo – dice – ma tra e me e lui c’è una cosa diversa: lui può vincere anche 50 palii ma a quattro chilometri da Siena non lo conosce nessuno. A me, invece, mi conoscono in tutto il mondo». A chi lo chiama da lontano Andrea o Degortes, Aceto non risponde, ma poco prima della presentazione della corsa di cavalli più conosciuta in “Continente”, come conferma lui stesso, il 14 volte trionfatore della competizione senese si abbandona ai ricordi d’infanzia.
Che ricordi ha della sua giovinezza nell’isola? E qual è adesso il suo rapporto con questa terra?
«Sono nato a Olbia, in via Acquedotto numero 58, e quando vengo vado sempre a visitare quelle zone. Ci passo sempre. La Sardegna è meravigliosa, è la numero 1. Ho ancora i parenti a Olbia, anche se ci siamo un po’ allontanati, perché dopo 70 anni le cose si dimenticano. Sono andato via nel ’57. Ma adoro il popolo sardo e voglio bene a questa nazione, perché la Sardegna è una nazione a parte. Fino al 1984 ci tornavo più spesso perché avevo la casa, vicino a Golfo Aranci, poi la Finanza mi fece la multa di un miliardo e 360 milioni e con il condono nel 1985 ho pagato mezzo miliardo di multa, che erano tanti e ho dovuto vendere la villa».
È tornato nei luoghi della sua infanzia qui in Sardegna?
«Sì, sono quelli dove guardavo le capre, erano vicino al cimitero di Olbia, in quelle zone lì. L’ovile era proprio attaccato alla Galbani. E ogni volta che ci torno mi fa sempre tanto piacere».
In cosa è cambiata la Sardegna rispetto a quando era ragazzo?
«Prima di tutto è cambiata nel benessere. Quando ero piccolo io, tutto sommato, la fame i pastori non l’hanno mai sofferta perché mangiavano latte, formaggio e ammazzavano i capretti. Però c’era tanta miseria negli anni ’50. Anche in Sardegna ha cominciato a esserci un po’ di benessere dal ’60 in poi».
Come ha passato i suoi primi anni nell’isola?
«Non ho sofferto la fame ma all’età in cui i bambini vanno a scuola, io sono andato a guardare le capre. Ecco perché sono un po’ cattivo con la gente. Ho sofferto parecchio, per questo ho voluto crearmi un po’ di benessere nella vita».
Tornando indietro rifarebbe quello che ha fatto: essere andato via dalla Sardegna e aver intrapreso questo percorso?
«Se avessi saputo che avrei avuto questo successo senz’altro. Perché il mio carattere era mezzo banditesco. Se fossi rimasto nell’isola sarei finito a fare il bandito perché non volevo restare povero. La ricchezza non è mica una colpa. Io non ho avuto questa fortuna, me la sono dovuta creare».
Cosa direbbe adesso a un giovane sardo? Di restare o di partire?
«Secondo me ora i giovani non hanno tanta voglia di lavorare. Se vuoi lavorare, invece, ti devi adattare a fare tutto, come ho fatto io. Invece adesso, il sabato non vogliono lavorare, la domenica nemmeno... e allora che cosa pretendono? Se ci sono i genitori che ti mantengono fai bene a rimanere».