La Nuova Sardegna

Il ricordo

Michela Murgia, un passo avanti agli odiatori: due anni dopo la sua morte il suo lascito è intatto

di Luigi Soriga
Michela Murgia, un passo avanti agli odiatori: due anni dopo la sua morte il suo lascito è intatto

Una vita ancora sotto attacco, persino dalla madre. Alessandra Todde: «Le sue parole restano vive»

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Sassari La insultano ancora. Gli odiatori non riescono a rassegnarsi. Ogni giorno, sotto un post, un video, una citazione che riemerge dai suoi libri. Aggiornano gli improperi, come se fosse viva. Segno che, per certi versi, lo è. Michela Murgia, due anni dopo la sua morte, continua a disturbare, a farli arrabbiare, a infilare la punta del suo pensiero nelle pieghe della loro mediocrità. Perfino sua madre, Costanza, non ha mai davvero compreso fino in fondo le sue scelte, quella famiglia queer «che non riesco a immaginarmi parte di», le ceneri lasciate a Roma «e non qui, a casa con me». Come se la distanza fosse rimasta anche dopo, tra loro due.

Ma Michela era fatta così. «È stata sé stessa – racconta la mamma ad Elvira Serra del Corriere della Sera – Nessun’altra può prendere il suo posto». Aveva cinquant’anni, ma diceva di averne vissute dieci di vite. «Ho fatto cose che la maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare». Michela Murgia era senza compromessi, senza la paura di esporsi. Con quella voce tagliente, che diventava un microfono aperto ogni volta che si parlava di diritti, di parole, di libertà. Nata a Cabras il 3 giugno 1972, cresciuta tra il mare e il silenzio di un padre violento. «Tonio era schizofrenico, egocentrico e alcolizzato», racconta oggi la madre, Costanza sempre nelle pagine del Corriere. «Avevo tutto cointestato con lui… Il debito mi faceva paura. Nessuno sapeva dell’inferno che io vivevo in casa mia. Nemmeno lei». Michela non lo perdonerà mai. Non andrà nemmeno al funerale.

Per pagarsi l’ultimo anno di liceo lavora in pizzeria. Poi si iscrive a Scienze religiose, insegna, consegna cartelle esattoriali, dirige per quattro anni l’amministrazione di una centrale termoelettrica. Fino a quando non testimonia in tribunale contro il datore di lavoro, in un caso di inquinamento ambientale.

Da lì, via. Nord Italia, un albergo vicino al passo dello Stelvio, un call center per vendere aspirapolveri e le ispirerà un blog anonimo, scritto di notte come portinaia, trasformato poi in un libro, “Il mondo deve sapere”, Da cui Paolo Virzì trarrà un film, “Tutta la vita davanti”. Poi Accabadora (2009), che la consacra. I premi, il Campiello, le traduzioni. Saggi, romanzi, pamphlet: Stai zitta, God Save the Queer, Tre ciotole scritto durante la malattia, come un testamento letterario. La militanza politica, il femminismo intersezionale, la “rassegna sessista” sui social ogni domenica. Le battaglie per l’eutanasia, per l’aborto, per i legami che non passano dal sangue né dal matrimonio. Per la sua famiglia queer. «La famiglia non è quella del sangue, ma quella dei legami che scegli e nutri ogni giorno», spiegava lei. La madre, però, non l’ha mai capita: «Non riesco a immaginarmi parte di questa famiglia allargata. Lorenzo non l’ho mai sentito. Vorrei che le ceneri di Michela fossero qui, a casa con me…».

Michela era molte cose. Gli anniversari servono a spolverare i ricordi, ma lei è rimasta nitida. Nei social ci si incaglia di continuo nel suo ricordo: una frase che illumina, una battuta che inchioda, un pensiero che rovescia il tavolo. Era un’influencer atipica, nel senso più raro: capace di piegare il corso di una discussione, di allargare l’orizzonte, di plasmare il lessico. Se oggi riconosciamo il patriarcato mascherato da cortesia è anche per lei. Quando pretese lo schwa nei suoi articoli, la risero dietro: era già tre puntate oltre. La malattia arriva nel 2014, cancro al polmone, operato. Nel 2023 quello al rene, quarto stadio, metastasi dappertutto, nessuna chirurgia possibile. Sceglie l’immunoterapia e la lucidità assoluta. La retorica bellica del guerriero che combatte la malattia, la lascia agli altri. «Il tumore è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo». Quando si sposa con Lorenzo Terenzi, vuole il bianco, per lei e per gli invitati. Gli anelli con la rana. La promessa: cambiare insieme, liberi. Nel testamento protegge la sua famiglia queer, lascia la casa di Cabras in usufrutto alla madre, la nuda proprietà a uno dei figli d’anima.

Il 10 agosto 2023, a Roma, Michela muore. Due anni dopo, restano le parole e le battaglie. Lo dice anche la governatrice Alessandra Todde: «Ci sono assenze che non si colmano, ma ci accompagnano. Michela Murgia è una di queste. Sono passati due anni dalla sua scomparsa, ma le sue parole restano vive. Perché alla fine ciò che davvero conta e resta è sempre e solo quello che le sue parole ispirano».

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