La Nuova Sardegna

L’intervista

Stefano Fresi: «Le mie estati a Luogosanto tra cugini, tavolate e De André»

di Alessandro Pirina
Stefano Fresi: «Le mie estati a Luogosanto tra cugini, tavolate e De André»

L’attore racconta la sua infanzia in Gallura nello stazzo dei nonni

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È nato a Roma, l’accento è fuor di dubbio di una persona cresciuta nella Capitale, ma a noi sardi basta un avo nato nell’isola per battezzarlo sardo. Non è questo però il caso di Stefano Fresi, che sì è romano, ma nella sua vita la Sardegna c’è da sempre: il padre di Luogosanto, i ricordi da bambino, la vigna, la caccia al cinghiale, il mare. E anche il lavoro. Sì, perché oggi Fresi sarà a Olbia per uno spettacolo-tributo a Fabrizio De André.

Stefano, il primo ricordo sardo?

«Innanzitutto una mala gestione della geografia. Per me la Sardegna era casa di nonna. Nonostante fossimo sbarcati con il traghetto delle Ferrovie dello Stato, avessimo attraversato Olbia, Arzachena, Luogosanto io a un certo punto chiedevo a mio padre: “quando arriviamo in Sardegna?”. Per me la Sardegna erano la casa e il giardino di nonna».

La sua infanzia in Gallura?

«Ho ricordi meravigliosi. Quelle vacanze che fai solo quando sei a scuola. Tre mesi tutti in Sardegna con i miei cugini. Quelle tavolate ferragostane - ma anche natalizie, pasquali: avendo babbo di Luogosanto tornavamo spesso - con i grandi da una parte e i piccoli dall’altra. Una divisione che andava avanti fino al fidanzamento ufficiale...».

E poi c’erano le giornate al mare.

«Vagavamo molto tra Capriccioli, Costa Paradiso, Rena Majore. E poi le gite con babbo alla Roccia dell’Orso a Palau o a Budelli quando ancora si poteva fare il bagno».

A Luogosanto era considerato il romano?

«Assolutamente, ma sono stato promosso luogosantese a tutti gli effetti quando sono stato candidato ai Nastri d’argento. La nomination era soprattutto per “C’è tempo” di Walter Veltroni, e in misura minore per “Ma cosa ci dice il cervello” di Riccardo Milani e per “L’uomo che comprò la luna” di Paolo Zucca. Quando ho vinto tutti i giornali scrissero che era per il film di Veltroni, invece la Nuova Sardegna titolò: Stefano Fresi vince il Nastro per “L’uomo che comprò la luna”. Lì ho capito che l’essere sardo è una cosa che passa automaticamente. E mi sono accorto che ce l’ho anche io dentro. Al supermercato chiedo il prosciutto sardo, il pecorino sardo, il pane sardo...».

Noi sardizziamo tutto e tutti. Anche Mahmood è nato a Milano lo consideriamo sardo.

«Ci siamo incontrati ed è stata la prima cosa che ci siamo detti: “tu sei di origine sarda?”. “Sì, anche io”».

Con Geppi Cucciari condividete le origini di Luogosanto.

«Con Geppi siamo cugini di secondo grado. Lo abbiamo scoperto tardi quando già ci conoscevamo. I nostri nonni erano cugini».

Come se la cava con il gallurese?

«Lu cumprendu meddhu di cantu lu faeddu».

Anche la sua carriera da musicista è passata dalla Sardegna.

«Come no? Le prime cose le ho fatte nei locali di Rena Maiore, Stintino, Alghero, all’Isola dei Gabbiani. Ho fatto pianobar un po’ in tutta la costa. Giravamo con una Panda carica di strumenti: pianoforte, mixer. Allora erano pezzi pesantissimi: mica era come adesso. Ma era bellissimo fare divertire le persone in vacanza».

Oggi sarà a Olbia con lo spettacolo ispirato a Fabrizio De André.

«Anche De André l’ho scoperto in Sardegna. Da piccolo il riposino dei nonni era sacro. Di pomeriggio nello stazzo, in quel religioso silenzio, mi mettevo le cuffie e trascrivevo i testi di De André. È lì che ho iniziato a cantare e suonare la chitarra».

Ha mai conosciuto De André?

«No, andai a un suo concerto. Ma non l’ho mai incontrato, e non sono mai stato all’Agnata. Ma questo spettacolo è nato per il Faber festival, quando Sandro Fresi mi chiese di fare una lettura, poi di cantare una canzone, poi due, tre. Alla fine è diventato uno spettacolo che porto in giro per l’Italia».

Dell’amore, della guerra e degli ultimi.

«Tre argomenti cari a Fabrizio che dimostrano quanto attuali siano le sue canzoni. Sulla guerra penso ci sia poco da dire, l’amore con i social è sempre più incasinato. E di ultimi ce n’è sempre troppi. Nello spettacolo - con me ci sono Cristiana Polegri ed Egidio Marchitelli - ci sono testi tratti dai suoi diari ma anche monologhi scritti per l’occasione».

Segue il cinema sardo?

«Io l’ho fatto con Paolo Zucca. Il suo film è un atto d’amore per la Sardegna: l’unica persona che poteva puntare il dito su vizi e virtù di un popolo era un appartenente a quel popolo. È stato un viaggio meraviglioso. Ma in generale mi piace quanto produce la Sardegna al cinema: è una terra in cui ancora la magia è molto viva, meno annichilita dalla dura realtà dei fatti. Ci sono più noia, più lentezza che però sono la sua salvezza, la nostra salvezza».

La Sardegna è cambiata?

«Mi rendo conto che è necessario per motivi turismo ma vedo troppi parcheggi. Ai miei tempi dovevi scavalcare muretti e attraversare campi secchi e sterpaglie per arrivare nelle spiagge più belle del mondo. Quando ho girato con Zucca a Cabras ho rivisto la Sardegna della mia infanzia».

A proposito, a che punto è la vigna di Luogosanto?

«Abbiamo prodotto un centinaio di bottiglie, siamo vicini al vino di nonno, c’è ancora un po’ da lavorare».

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