Ivana Russu racconta la sua battaglia: «Così ho scoperto la malattia. Vivo senza capelli ma anche questa è normalità»
L’esponente di spicco del Pd: «Ho scelto di non coprire la testa. Nessuna vergogna, io adesso sono questa»
Olbia La cosa che più l’ha colpita, da quando vive la vita senza più un capello sulla testa, è che la gente sente il bisogno di parlarle, di condividere, di fermarla per strada. Oppure al mare. «Stavo camminando in acqua, per il problema dei dolori alle gambe, e una donna mai vista prima mi guarda, si avvicina e mi dice: “Anche io”. Sono cose che non ti aspetti e che ti fanno riflettere. C’è tanto bisogno di confronto». Ivana Russu, 43 anni, esponente di primo piano del Partito democratico di Olbia, lo spirito della combattente lo ha sempre avuto. Ma solo se si parla di politica, perché se al centro del discorso c’è un tumore al seno la retorica della guerriera non fa certo per lei. «E poi perché guerriera? La malattia è questa e non dipende da me come andrà a finire: la vivo e la indosso ogni giorno, senza nasconderla. Bisogna normalizzarla. Anche per questo ho scelto di non coprirmi la testa e di non indossare una parrucca. Non è facile, perché ti senti costantemente gli occhi addosso, ma bisogna far passare il messaggio che tutto questo è normalità. Per esempio andare al lavoro se si è malati e praticare sport anche se si ha un tumore, ma è normale anche essere stanchi, avere paura e magari non riuscire ad alzarsi dal letto la mattina». Capogruppo del Pd in consiglio comunale con un passato da assessora, Ivana Russu è da una quindicina di anni una delle donne più in vista della sua città. A maggio ha scoperto di avere un tumore, a giugno si è presentata in aula consiliare con i capelli corti e, qualche giorno più tardi, li ha rasati del tutto. La malattia è di quelle gravi e lei lo sa benissimo. «Per questo ho deciso di parlarne apertamente. Io adesso sono questa, con il mio tumore. Non mi voglio certo vergognare».
Come lo ha scoperto?
«Da alcuni mesi non mi sentivo più in forma. Ho fatto numerosi controlli, ma non è emerso nulla. Quindi ho lasciato un po’ perdere. Poi un giorno, pensando di essermi fatta male sotto l’ascella durante l’attività sportiva, ho fatto una ecografia. L’ho scoperto così, a maggio. È un tumore infiltrante e invasivo, non è localizzato: si sfalda e le cellule raggiungono le altre parti del corpo. È veloce. Sei mesi di chemio, a dicembre ho l’intervento».
E come ha reagito?
«Per carattere, ho cercato di sdrammatizzare. Sulle malattie non mi faccio molte domande, la sto vivendo affidandomi alla scienza e a quello che mi dicono i medici. Non sto troppo a cercare, a capire, ad analizzare. Devo dire che nei nostri ospedali il livello delle prestazioni è elevato, sia al Giovanni Paolo II che al Mater Olbia. Stesso discorso per l’ospedale di Sassari».
Immagino che sia stato particolarmente difficile dirlo in famiglia.
«Beh, sì. Anche perché non venivamo da un bel periodo. Quando l’ho scoperto, mio padre aveva appena concluso il suo ciclo di chemioterapia. Lo vedi e lo senti che le persone che ti stanno vicino, familiari e amici, soffrono e stanno male. Non è facile affrontare una malattia e dover pensare anche al dolore e alla preoccupazione degli altri. Per questo, e per tanti altri motivi, ho deciso di farmi supportare da una psicologa. Nulla è semplice, soprattutto per una donna. Ti svegli la mattina e trovi le ciocche di capelli sul cuscino. Quando mi hanno applicato il Picc nel braccio ho avuto un attacco di panico».
Si è presentata in consiglio comunale con i capelli corti, poi su Facebook ha pubblicato il video dove si vede suo fratello che le rasa la testa. Così lo ha detto a tutta la città.
«Non mi voglio nascondere. E ne approfitto per ringraziare tutti i consiglieri. Prima l’assemblea si riuniva il lunedì, adesso non più. Perché il lunedì è il giorno della mia terapia e, in questo modo, mi hanno dato la possibilità di partecipare alle riunioni. La politica per me è vita. Sono capogruppo di opposizione, e anche abbastanza rompiscatole, e sarebbe stato un dolore troppo grande non esserci più. Il presidente del Consiglio non ha esitato, immagino anche con il consenso del sindaco. È importante. In aula ho tanti avversari, ma spesso sono le stesse persone che mi telefonano per sapere come sto. In generale, nella vita, sono piena d’amore: sento un grande affetto».
Cosa vuol dire girare per la città senza capelli?
«Non è semplice relazionarsi con gli altri. Hanno paura della malattia. Spesso non sanno come comportarsi, non reggono lo sguardo. Cammini e lo senti. Lo percepisci che la gente ti guarda. Poi ci si ritrova anche a dover fare i conti con la stupidità delle persone. Sono tante le battute inopportune che possono farti stare male. Per esempio “Sei ingrassata”, perché magari sei imbottita di cortisone, oppure “Ti sei rasata i capelli perché hai troppo caldo?”. I bambini, poi, sono sempre la bocca della verità. E non è facile vedere un bimbo che scoppia a piangere perché ti vede senza capelli. Ma un bambino lo perdoni, per il resto c’è tanta stupidità. È anche per questo, credo, che in giro si vedono pochissime donne con la testa scoperta. Il mondo che ci circonda purtroppo è fatto così: è incapace di vivere e trattare la malattia con normalità. Invece noi abbiamo bisogno che le altre persone continuino a viverci come hanno sempre fatto. L’ho detto anche alle mie amiche: “Smettetela di trattarmi da malata”. Poi certo, è ovvio che ho le mie fragilità. Per questo dico di non essere una guerriera. Ciò che questa esperienza mi sta facendo capire, invece, è che non bisogna perdere tempo, non bisogna sempre mediare: sia nella vita che nella politica. Il qui è ora. Io, per esempio, non so se questo mio percorso andrà a finire bene. Ci penso spesso, è naturale. Quindi voglio vivere intensamente e raggiungere al più presto tutti i risultati che vorrei ottenere».
Alcuni giorni fa, a Porto Rotondo, ha partecipato alla “Sfilata delle farfalle rosa” insieme alle altre pazienti oncologiche, alle infermiere e ai medici.
«Chi mi conosce, sa bene che nella vita mai e poi mai avrei sfilato (ride, ndr). Ma devo dire che mi sono divertita, è stato bello. Con le altre pazienti ci supportiamo a vicenda. Ognuna affronta la malattia a modo suo e quindi in maniera diversa, ma è importante condividere e confrontarsi. Sto notando soprattutto questo. In qualche modo ci si dà forza. Poi le infermiere e i medici sono straordinari anche a livello umano, quando vado a fare la chemioterapia arrivo in ospedale serena. Il merito è soprattutto loro». Prima, per strada, la fermavano soprattutto per questioni legate alla politica. Adesso, invece, per parlare del tumore. «Sì, ci sono tante persone, in particolare donne, che mi fermano per strada e che mi scrivono. Significa che la malattia ha un grande bisogno di essere raccontata e normalizzata. Deve passare il concetto che la normalità è anche non potere fare le cose. Per esempio, io sono andata al Red Valley, ma il giorno dopo non mi sono alzata dal letto. La normalità è anche saper assecondare il proprio corpo. È quello che dico alle altre donne: è normale se la notte non dormi, è normale se ti senti stanca, è normale se ti senti male».
In questi mesi si è resa conto dei limiti del sistema sanitario?
«Mi rivolgo alla Regione: noi abbiamo vinto le elezioni dicendo che avremmo affrontato i problemi della sanità con serietà. Nessuno ha la bacchetta magica, lo so bene, ma il Pd è il partito guida e deve incidere con l’obiettivo di cambiare realmente la situazione. La mia esperienza è positiva, ma ci sono tante donne arrivate in reparto con un tumore in stato avanzato. Dobbiamo far sì che il sistema della prevenzione funzioni. Penso anche al problema delle lunghissime liste di attesa per l’invalidità, è inaccettabile. Ma penso anche al fatto che, molte persone, certi controlli e certe terapie non se le possono permettere. In Sardegna siamo soltanto 1 milione e 600mila, non voglio credere che non si riesca a fare di più».