Il ritratto di Emanuele Ragnedda: il 41enne cresciuto nell’azienda di famiglia Capichera
Nel 2016 la decisione di creare una cantina tutta sua. Da 24 ore è accusato di aver ucciso Cinzia Pinna e di averne occultato il cadavere
Arzachena Cresciuto tra i filari di vite e il profumo del vino. Emanuele Ragnedda, 41 anni, ha respirato sin da piccolo il successo delle grandi imprese. Il padre Mario, insieme al fratello Fabrizio, subentrano al padre Sebastiano che negli anni Settanta, insieme alla moglie, aveva deciso di creare una cantina. Nelle loro mani il marchio Capichera diventa eccellenza, il vermentino un vino da esportazione conosciuto in tutto il mondo. Il giovane Emanuele, figlio unico di Mario, dopo il diploma, una formazione tra Milano e Londra, comincia a lavorare nell’azienda di famiglia. Nel corso degli anni ricopre anche il ruolo di Export manager.
Emanuele è ambizioso, ama decidere da solo, la sua sicurezza a tratti sconfina nella spavalderia. È cresciuto in una famiglia agiata e porta con sé un senso di naturale privilegio, che traspare nei gesti e nelle parole. Così lo descrivono tante persone che lo hanno visto crescere ad Arzachena, una comunità piccola in cui tutti si conoscono. Un carattere particolare con una personalità complicata, non sempre facile da gestire.
Nel 2016 la decisione di creare una impresa vitivinicola tutta sua. Nasce Conca Entosa: sette ettari di vigna tra graniti e macchia mediterranea, nelle campagne di Palau. Gli affari vanno bene, nel 2023 il suo vermentino “Disco volante” si guadagna il titolo di più caro d’Italia. Tra i 1300 e i 1400 euro a bottiglia. Uno spottone nazionale alla sua azienda. Una conferma anche mediatica di aver sfondato in quel mondo del vino di cui il padre e gli zii erano stato protagonisti riconosciuti in tutto il mondo. Un clamore che infastidisce il giovane imprenditore del vino, per nulla morbido nel difendere il suo prodotto di eccellenza dalle critiche. «Non ci siamo discostati da una valutazione oggettiva sui costi di produzione, come qualsiasi prodotto, ma poi c’è il valore che attribuiamo al nostro lavoro – spiegava Ragnedda in una intervista a La Nuova –. Il vino si attesta sui valori dei rossi della Borgogna francese, perché questo vermentino è in purezza, creato con la combinazione di quattro cloni e il valore del prodotto si paga. Mi dà fastidio che sia sempre il produttore ad occupare il gradino più modesto nella catena del valore, crediamo che sia giusto per l’agricoltore avere margini più alti nel settore primario, rispetto a chi magari sfrutta la Sardegna solo tre mesi l’anno». Quelle poco più di mille bottiglie extra lusso fanno lievitare il portafoglio clienti, molti di altissimo livello. Ma Ragnedda non si ferma al mondo del vino. Diversifica e crea anche una società di investimenti, la Orahona Capital.
Il cognome Ragnedda ad Arzachena è una istituzione. Impossibile non associarlo alla storia dell’azienda Capichera, conclusa nel 2022 con la vendita alla famiglia Bonomi. Ma non solo. Lo zio di Emanuele, Alberto, è stato sindaco di Arzachena dal 2012 al 2017. Negli anni precedenti era stato capogruppo di opposizione, dopo aver perso le elezioni contro Piero Filigheddu. Una parentesi politica che lo aveva temporaneamente allontanato dall’azienda di famiglia, dove per anni aveva gestito l’export.
Il nonno di Emanuele, Sebastiano, scomparso nel 2015 a 85 anni, era stato un vulcanico pioniere del turismo ai tempi del boom della Costa Smeralda. Il suo nome, suo malgrado, per anni era stato anche al centro di una complessa vicenda giudiziari. Secondo l’accusa, la sua villa di Baia Sardinia finita all’asta era stata acquistata da due magistrati a un prezzo di favore. Il processo aveva stabilito che non c’era stata alcuna collusione tra gli imputati e nessun condizionamento nella vendita all’asta della villa.