La giornalista Emanuela Pala racconta l’arresto e la progionia in Israele: «Trattati in modo disumano: tre giorni senza un sorso d’acqua»
Arrivata sabato notte a Fiumicino, ha potuto riabbracciare i familiari: «Mi hanno sequestrato tutto, dal computer alla biancheria intima»
Sassari «Ora sto bene, ho potuto finalmente bere e mangiare. Per tre giorni neppure un sorso d’acqua, perché l’unica disponibile era quella marrone che usciva dal lavandino del bagno. Un solo pasto in tre giorni: due fette di pan bauletto con una gelatina dal sapore indefinito. Da giovedì, dopo lo sbarco in Israele, sono rimasta chiusa in una cella da cinque posti con altre quattordici donne, senza neppure un materasso per sdraiarci. Ogni mezz’ora accendevano le luci, entravano per contarci, puntandoci le armi e tenendoci costantemente sveglie. Ci hanno umiliate e derise, impedendo alle persone malate di assumere farmaci salvavita, non davano neppure assorbenti a chi aveva il ciclo. Ho parlato solo una volta con il consolato, per il resto non ho potuto comunicare con nessuno. Non avevamo idea di quando ci avrebbero liberate, temevo che la prigionia sarebbe durata almeno fino a mercoledì, ma ieri sera ci hanno prelevate e portate in aeroporto».
È la drammatica testimonianza di Emanuela Pala, la giornalista sassarese di 38 anni che per 20 giorni ha viaggiato su una barca a vela della Global Sumud Flotilla prima di essere arrestata dall'esercito israeliano. L'inviata della trasmissione di La7, Piazza Pulita, condotta da Corrado Formigli, è arrivata nella tarda serata di ieri, sabato 4, a Roma, a bordo di un aereo della Turkish Airlines, insieme ad altri 25 connazionali.
Com'è stata l'accoglienza al vostro arrivo a Fiumicino?
«Siamo stati accolti con gioia, siamo stati abbracciati anche dai poliziotti. È stata un'emozione fortissima. Ad aspettarci c'erano i nostri parenti e tantissimi sostenitori».
Siete arrivati indossando le divise da carcerati, senza un solo bagaglio
«Purtroppo con me non ho più nulla, sono arrivata con la tuta-pigama che ci hanno dato in carcere, un giubbotto nero e un paio di scarpe che ci ha fatto avere la Turchia. Dei miei documenti, del mio tesserino da giornalista, del computer, delle telecamere, o dei miei bagagli, non c'è più traccia. Ho perso tutto. Mi hanno preso ogni cosa, anche la biancheria intima».
Essere giornalista le ha garantito un trattamento migliore?
«È esattamente il contrario, quando hanno saputo che ero una reporter, mi hanno trattata anche peggio. Mi hanno chiesto se fossi di Al Jazeera. Quando siamo sbarcati in Israele, dopo 15 ore di navigazione a motore, rinchiusi in 10 nella minuscola dinette della barca a vela, sotto la minaccia costante delle armi, ci hanno costretti a rimanere in ginocchio per ore sul cemento sotto il sole. Ci aprivano le borse e ci deridevano. Quando chiedevi di andare in bagno ti rispondevano che non dovevi venire in Israele se volevi andare in bagno».
Qualcuno ha provato protestare per i maltrattamenti?
«L'unica nostra forma di protesta era il canto, ognuno cantava una canzone tradizionale nella propria lingua. Io e altri italiani abbiamo cantato continuamente Bella Ciao. Non potevamo fare altro, perché avevamo sempre i fucili puntati addosso».
C'è stato un momento in cui ha avuto paura per la sua vita?
«Quando ci hanno abbordati e ci hanno puntato addosso mitra enormi con le torce. Erano una trentina di soldati. Noi non abbiamo opposto la minima resistenza. Ci hanno fatti andare a prua, hanno sequestrato computer e cellulari, anche se il mio ho fatto in tempo a lanciarlo in acqua. Poi ci hanno costretti a stare nella dinette della barca fino all'arrivo in porto in Israele. A bordo sono rimasti quattro militari che non sapevano usare le vele e hanno tenuto il motore alla massima velocità fino all'arrivo. Ci hanno accolti ridendo, dicendo: welcome to Israel, welcome to prison. In tutto 138 donne sono state portate nel carcere femminile, gli uomini in un altro posto. Li abbiamo rivisti solo al momento della liberazione».
Le hanno fatto firmare qualche documento?
«Quando siamo arrivati a terra mi hanno mostrato un foglio scritto in israeliano, sostanzialmente volevano che dicessimo di essere stati arrestati in acque territoriali israeliane. Io ovviamente non ho firmato. L'unico foglio che ho firmato è quello che ci ha portato il console, un decreto d’espulsione da parte di Israele col quale accettavo di andare via il prima possibile».
Chi ha organizzato il vostro rientro in Italia?
«Siamo partiti da Israele con un volo della Turkish Airlines che ci ha portati a Istanbul e da lì, con la stessa compagnia siamo arrivati in Italia».
In Italia e nel resto del mondo centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza.
«Tra gli attivisti scarcerati, in tanti hanno pianto per non essere riusciti ad arrivare a Gaza. E molti, con le lacrime agli occhi, mi hanno detto che ci avrebbero salvato le piazze italiane. Spero che stia arrivando la fine di questo massacro e che finalmente finisca la guerra a Gaza»
Giovedì sera racconterà il suo arresto e la sua prigionia in Israele nella trasmissione con la quale collabora, Piazza Pulita
«La redazione, la caporedattrice, Corrado Formigli, mi sono stati vicini per tutto il viaggio. Mi hanno sostenuta a partire dal giorno di agosto in cui ho annunciato che sarei partita con la Flotilla. Grazie a loro, nei venti giorni di navigazione, dalla partenza dalla Sicilia fino all'abbordaggio, ho potuto raccontare e documentare quello che stava succedendo. Ho inviato l'ultimo video quando ci stavano attaccando con gli idranti. Ora finalmente sono a casa e il sostegno della gente per la causa di Gaza è sempre più forte».
