La Nuova Sardegna

L’intervista

Il quindicenne accoltellato, il racconto choc: «Venite, hanno bucato uno»

di Andrea Massidda

	Lo psicologo Luca Pisano e la via del quartiere Marina teatro dell'episodio di violenza
Lo psicologo Luca Pisano e la via del quartiere Marina teatro dell'episodio di violenza

Lo psicologo Luca Pisano è stato tra i primi a soccorrere il ragazzo aggredito. L’appello: «Basta violenza, la vita non è un reel e si muore davvero»

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Cagliari La pozza di sangue che si allarga velocemente intorno a un corpo riverso sull’asfalto, le urla strazianti dei ragazzi che sono lì attorno, il suono delle prime sirene, la corsa verso le stradine della movida per capire che cosa è accaduto. Sabato sera, in mezzo al caos del quartiere della Marina, c’era anche lo psicologo Luca Pisano, esperto in devianza minorile e operatore di strada, sul posto con i colleghi del progetto “CommuniTeen” del Comune di Cagliari. È stato lui il primo a soccorrere la vittima insieme a un medico inglese, verosimilmente un turista. Lo sguardo di Pisano non è dunque solo quello del testimone: da anni studia e affronta sul campo i fenomeni giovanili e sa che dietro gesti simili spesso c’è molto più di una banale lite.  «Certa violenza non nasce all’improvviso – spiega – è figlia di modelli culturali che i ragazzi assorbono ogni giorno da musica trap, social e serie tivù. E poi ci sono alcol e sostanze stupefacenti».

Dottor Pisano, può raccontare cosa ha visto e quale clima si respirava immediatamente dopo l’aggressione?

«Con il mio gruppo di psicologi il sabato sera siamo sempre dalle parti della chiesa di Sant’Eulalia per dare assistenza ai ragazzi. Intorno alle 20 abbiamo visto improvvisamente tantissimi di loro correre verso via Sicilia. Di sicuro era successo qualcosa di grave, anche perché purtroppo episodi di questo tipo non sono rari: quasi ogni fine settimana c’è un intervento di ambulanze o forze dell’ordine. E infatti dopo circa quaranta metri ho visto per terra una grande pozzanghera di sangue con schizzi tutt’intorno. Alcuni ragazzi mi hanno detto con il loro linguaggio che “avevano bucato uno”, cioè che qualcuno era stato accoltellato. Erano molto spaventati: alcuni correvano, altri piangevano».

Passiamo ai soccorsi.

«Mentre il turista che si è presentato come medico controllava le ferite del ragazzo notando almeno tre tagli netti sul corpo, io cercavo di tenerlo sveglio e vigile. Gli dicevo: “Sono Luca, l’operatore di strada, mi riconosci?”. E lui per fortuna mi capiva: era terrorizzato, singhiozzava. La sua fidanzata invece urlava disperata e l’abbiamo dovuta calmare. Poi è arrivata l’ambulanza».

Come si spiega una violenza così estrema e improvvisa tra adolescenti?

«In linea generale il contesto della Marina è percepito da molti giovani e giovanissimi come un’area di impunità, una sorta di zona franca dove si può bere e far uso di hashish e cocaina a dismisura, si possono portare armi. Ovviamente non è così, ma chi parte da quel presupposto si sente autorizzato a trasgredire in ogni modo possibile».

Lei studia da anni i fenomeni di devianza giovanile. Quali fattori stanno dietro a episodi come questo: familiari, sociali, culturali o legati all’uso di droghe e social network?

«Abbiamo spesso a che fare con ragazzi e ragazze con un disagio psicologico molto pronunciato, alcuni con vere e proprie psicopatologie o ritardi cognitivi. E poi tantissimi di loro sono in dispersione scolastica e hanno problemi in famiglia, quindi sono frustrati e aspettano il sabato sera per potersi sfogare e trovare una loro affermazione, anche negativa. Ma attenzione, ci sono anche quelli che chiamiamo “finti disagiati”: adolescenti che pur vivendo in contesti sereni cercano di apparire ribelli o duri per sentirsi accettati o ammirati. E trasversalmente c’è l’assunzione di alcol e droghe».

Molti di questi ragazzi girano armati, perché?

«Tra loro, e forse non a tutti i torti, c’è la percezione che Cagliari sia una città pericolosa, così si portano dietro coltelli o cose del genere. E quando si crea un po’ di tensione nei gruppi non sempre sono capaci di gestire la situazione senza farla degenerare. Una delle attività principali di noi operatori di strada è proprio quella di insegnare loro a esprimere le loro tensioni attraverso la parola e il ragionamento invece che con l’azione violenta».

Negli ultimi anni sembra esserci un’escalation di aggressioni tra minorenni. È davvero così o stiamo solo prestando più attenzione mediatica a questi casi?

«No, direi che il fenomeno è stabile negli ultimi dieci anni. Non è nato con il lockdown, esisteva già da prima. Quello che sta cambiando è il modo in cui i ragazzi vivono il conflitto: a causa dell’influenza dei social, delle serie tv e di certa musica, molti adolescenti pensano che per essere “fichi” o “alla moda” bisogna usare la violenza o addirittura un coltello».

Fratelli d’Italia invoca l’utilizzo dell’esercito per presidiare il centro. Misura esagerata o auspicabile? «Non serve l’esercito: bastano quattro agenti di polizia nei punti strategici sino a mezzanotte. La semplice presenza di una divisa ha un enorme effetto deterrente».

Che messaggio vorrebbe mandare ai giovani sardi dopo questa ennesima notte di violenza?

«Spero che l’immagine di quel ragazzo di 15 anni steso a terra insanguinato resti impressa come un segnale forte. La violenza non è un videogioco: nella vita reale si muore davvero».

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