Quando Francesco Cossiga visitò Toni Negri in carcere: «Sei stato il capro espiatorio per il caso Moro»
La regista Anna Negri presenta il film “Toni, mio padre”, intervistata da Walter Veltroni racconta l’episodio con il politico sassarese
Sassari Da oggi, lunedì 10 novembre, arriva al cinema per tre giorni di proiezioni il film “Toni, mio padre”, di Anna Negri. Racconta un lungo dialogo con il papà, Toni Negri, filosofo, politologo, negli anni ‘70 grande teorico dell’Autonomia operaia e del movimento no global negli anni 2000. Figura controversa, ispiratore dei movimenti nati dal basso da un lato, accusato di reati di terrorismo dall’altra. Per l’occasione dell’uscita della pellicola nelle sale, Walter Veltroni sul Corriere intervista la figlia, la regista Anna Negri.
«Lui era ed è stato sempre immerso nella dimensione tutta politica delle cose della vita, ha inseguito un sogno che non si è realizzato, il resto era secondario – ha spiegato, parlando del rapporto padre-figlia –. Ma non per cattiveria. Si disinteressava dei figli perché pensava e credeva di combattere per un mondo in cui i suoi figli e quelli di tutti avrebbero vissuto meglio, più giusti».
Uno sguardo sugli anni ‘70, su cui la figlia del leader del movimento operaio dice: «Un grande laboratorio di energia civile, anni in cui si sperimentava, anni generosi, di comunità. Non li si può identificare e schiacciare nella deriva terroristica». Il controverso rapporto con le Brigate rosse: «Toni, mio padre, pensava che le Brigate Rosse avessero distrutto quel movimento sociale che lui pensava fosse in grado di creare una nuova società. Ricordo che il giorno in cui fu annunciata la morte di Moro lui era infuriato». Toni Negri venne arrestato nel 1979, tra le accuse, oltre ad aver ispirato le Br, proprio quella di un suo presunto coinvolgimento nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, per poi venire assolto.
Qui Anna Negri cita una visita di Francesco Cossiga in carcere, nel 1998. Il senatore sassarese, già presidente della Repubblica, incontrò Negri «e gli disse che dopo l’esito del rapimento Moro avevano bisogno di trovare un capro espiatorio e scelsero lui. La penso così». (paolo ardovino)
