La Nuova Sardegna

La lettera

La replica dei direttori dei Pronto soccorso a Bartolazzi: «Pensiamo ai pazienti non alla carriera»

di Ilenia Mura
La replica dei direttori dei Pronto soccorso a Bartolazzi: «Pensiamo ai pazienti non alla carriera»

I dirigenti rispondono all’assessore alla Sanità che ha chiesto di superare i campanilismi: «L’arte medica non ha campanili»

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Sassari L’invito a superare i campanilismi da parte dell’assessore Bartolazzi, durante una intervista rilasciata ai giornalisti, non è piaciuto ai medici del pronto soccorso della Sardegna che, in una controreplica all’esponente della Giunta Todde, ci vanno giù pesanti, lanciando messaggi di fuoco dietro le righe di una missiva apparentemente pacata. 

«Superate i campanilismi» aveva detto Bartolazzi. «L’arte medica non ha campanili, noi difendiamo la vita non la carriera» rispondono i dirigenti. Così il botta e risposta fra i medici dell’emergenza-urgenza della sanità sarda e l’assessore Armando Bartolazzi registra dunque una nuova puntata. In una lunga lettera, dai temi etici, tutti i dirigenti di Pronto soccorso delle strutture ospedaliere dell’isola esprimono il loro disappunto, dopo essere finiti ingiustamente sul banco degli imputati per un caso di mala sanità causato dalla mancanza di posti letto negli ospedali sardi. 

Bartolazzi aveva avviato una indagine interna per accertare le responsabilità. Così avevano scritto nella prima lettera: «Colpire una collega è come colpire tutti noi». E ora – dopo l’invito di superare i campanilismi da parte dell’assessore – i medici tornano sull’argomento. Il secondo casus belli riguarda le recenti dichiarazioni dell’assessore Bartolazzi rilasciate alla stampa, in merito al reparto di Traumatologia chiuso al Sirai: «Ho riaperto quello al Cto di Iglesias», ha detto qualche giorno fa l’esponente della Giunta Todde ai giornalisti: «Superate i campanilismi». Il riferimento era al “progetto femore” attivato nel reparto dell’ospedale di Iglesias che però opera in Week surgery e chiude nella fine settimana. Ci lavorano i medici gettonisti, in scadenza a febbraio. Ossia i professionisti esterni pagati a singolo turno, per coprire le carenze di personale negli ospedali pubblici, come appunto il Cto di Iglesias, dove si trova un punto di primo intervento per i codici bianchi e verdi.  

«Ci sono mestieri in cui l’errore si corregge, il danno si ripara, il tempo consente di rimediare. Una pizza bruciata può essere rifatta. Una pasta scotta si butta via. Un tubo che perde si aggiusta.
Essere medico non è questo». 
«L’arte medica – proseguono – custodisce qualcosa di infinitamente più grande: il dono più prezioso che ogni essere umano riceve, la vita. E con essa, la possibilità di viverla pienamente, o di viverne l’ultimo tratto nella dignità migliore possibile. Il nostro compito è alleviare le sofferenze, restituire un sorriso, ridare speranza. E quando la speranza non coincide più con la guarigione, saper guidare con verità e umanità verso la consapevolezza del tempo che resta, affinché anche quel tempo sia vita».
«Questa – spiegano i medici – non è un’attività lavorativa come le altre. È una missione civile ed etica. È una responsabilità che riguarda la società intera. Perché, in ogni gesto di cura, si misura il valore reale di una comunità. Per questo noi crediamo che chiunque abbia pronunciato quel giuramento antico, che ci lega a Ippocrate e a tutte le mani che hanno curato prima di noi, debba difendere l’arte medica. Perché non siamo semplici esecutori.
Siamo custodi di un patto. “Ho promesso di servire la vita. Ogni volta che la incontro, non posso voltarmi”: «Difendere questo non è un privilegio, è un dovere. E significa restare fedeli all’essenza del nostro giuramento: non alla carriera, non al riconoscimento, ma alla persona che soffre. Finché avremo voce, dobbiamo ricordarlo a noi stessi, ai colleghi, alle istituzioni, alla società tutta: l’arte medica non ha campanili, non  si svende, non si improvvisa, non si tradisce. Si onora. Sempre».
Firmato: i Direttori dei Pronto soccorso della Regione Sardegna

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