La Nuova Sardegna

L’intervista

L’amore per i cani, la vita con la figlia fra Los Angeles e la Sardegna. Elisabetta Canalis ora pensa al futuro: «Fra 20 anni voglio stare a Porto Alabe, sarà il mio ritiro davanti al mare»

di Andrea Sini
L’amore per i cani, la vita con la figlia fra Los Angeles e la Sardegna. Elisabetta Canalis ora pensa al futuro: «Fra 20 anni voglio stare a Porto Alabe, sarà il mio ritiro davanti al mare»

La showgirl si racconta tra pubblico e privato: dal legame con la sua Sassari al successo

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Sassari «Sono andata via da Sassari a vent’anni per studiare e perché volevo misurarmi con realtà e opportunità diverse. Avevo le idee chiare allora e ce le ho anche oggi: quando sarà il momento di ritirarmi, il mio posto sarà la Sardegna». Quasi trent’anni dopo quella scelta, Elisabetta Canalis è una donna in carriera in forma smagliante, ma anche una mamma a tempo pieno e un’attivista a favore dei cani abbandonati. Con il suo libro “Una zampa sul cuore” in rampa di lancio, l’ex velina si racconta tra passato e futuro con semplicità e naturalezza. Svelando di sé molto più di quanto non si riesca a intercettare sul suo profilo Instagram da 3,7 milioni di follower. A 47 anni, ormai sulla cresta dell’onda da un quarto di secolo, l’ex velina dribbla qualsiasi sospetto di patto col diavolo e parla di famiglia, ricordi e passioni.

Cosa troveremo nel suo libro?

«Il mio amore per i cani, innanzitutto. Ma anche le dinamiche di convivenza tra una madre, una figlia e quattro trovatelli a quattro zampe».

Perché ha scritto questo libro?

«Per accendere i riflettori sui canili e dire alle persone che là dentro non ci sono alieni, ma cani che sono prima di tutto bellissimi, e poi soprattutto adatti a tutte le esigenze e con personalità diverse. Il tuo match è il canile. Devi solo trovare coraggio di salire in macchina e andarci. Quello che accadrà è molto semplice: troverai il cane che fa per te».

Il focus del libro è sui trovatelli. Come mai?

«Arrivo anche io come tanti da esperienza di cani comprati, e non colpevolizzo certo chi acquista un cane. Sono sicura che queste persone amano i loro animali esattamente alla stessa maniera. Però dico una cosa: prima di comprare un cane, provate ad andare almeno a guardare un canile e magari dare una chance a dei cani che tra l’altro sono lì per colpa nostra, non certo loro».

Lei fa la volontaria in un canile di Los Angeles, e devolverà i proventi del libro al Rifugio Fratelli minori della Lida di Olbia, al quale non ha mai fatto mancare il suo sostegno, e alla Fondazione Save the Dogs and Other Animals. Da dove nasce questo impegno?

«Mi sono avvicinata a questo mondo grazie a Cosetta Prontu e alla Lida di Olbia. In Sardegna ci sono diversi buoni canili, mi era capitato di bazzicarci quando rientravo. Avevo preso contatto con Cosetta nei giorni successivi all’alluvione del 2013. Ho deciso di aiutarli quando ho visto che stavano salvando 300 cani a mani nude. Ricordo che servivano con urgenza cucce e sostegni per tenerle sollevate rispetto al terreno allagato. È in quella circostanza che ho deciso di sostenerli e da allora ho iniziato ad apprezzare sempre di più ciò che fanno. Che è qualcosa di straordinario».

Nelle storie che racconta ha scelto di far parlare in prima persona i suoi cani.

«Inizialmente il libro era stato pensato solo per i bambini, e il modo migliore per arrivare a loro è far parlare i cani. Non volevo scrivere qualcosa di scontato o una storia fine a se stessa, ma piuttosto qualcosa di divertente. Mi interessava davvero approfondire e in qualche modo rappresentare il loro punto di vista. Ma questa è la storia del mio rapporto con i cani. Da sempre mi immedesimo con loro, cerco di capire i loro pensieri. Quando vado nei canili li osservo, li guardo in faccia, hanno quasi sempre lo sguardo di chi si sta chiedendo “ma quando uscirò da qui?”. La mia empatia nei loro confronti non è fatta di pena, ma di immedesimazione. Ogni volta mi domando: avranno bisogno di questo o altro?».

Da dove nasce la sua passione per gli animali?

«Da piccola mi lanciavo letteralmente sui cani, mi sono presa qualsiasi malattia perché adoravo i randagi, tutta la mia famiglia mi temeva per questo. Quando andavo a scuola c’era un gruppetto di cani randagi che stava dalle parti di via Oriani, con i quali avevo fatto amicizia: ogni giorno mi venivano dietro, mi scortavano per un bel tratto di strada verso viale Umberto. Ad Alghero andavo a cercarli al centro storico, o sotto le barche al porto, perché molti dormivano lì. Ma per non farmi mancare nulla ho sempre avuto familiarità anche con la colonia felina che sta oltre i bastioni. Posso aprire una parentesi su questo?».

Certo.

«Sono contenta che abbiano sistemato le casette e ho sempre un pallino: sarebbe bellissimo chiedere ai ragazzi della facoltà di architettura dell’università, che ha la sede proprio là davanti, di fare un progetto per quella colonia felina, qualcosa di artistico, che valorizzi quel posto e allo stesso tempo protegga quegli animali».

A sua figlia Skyler, che ha 10 anni, il libro è piaciuto?

«Skyler conosce tutte le storie che ci sono dentro. Alcune sono romanzate o collocate per esigenze narrative da una parte piuttosto che dall’altra, ma sono tutte situazioni reali, cose effettivamente successe che lei ha vissuto in gran parte in prima persona. Il rapporto che lei ha con i nostri cani mi ha ispirato molto, perché li vede come fratellini: ci litiga, ogni tanto uno le ruba i pupazzi oppure ne trova uno distrutto, e allora si adira. Ha le stesse reazioni che avrebbero tra loro un fratello e una sorella. Faccio un esempio».

Prego.

«Nello è arrivato a casa quando lei aveva quasi 5 anni: lui, ringhiando ma senza mai morderla, le ha insegnato quali fossero i suoi spazi, cosa potesse fare e non fare. Perché non dimentichiamo che non sempre i cani sono contenti se li abbracci, gli tocchi la coda, se li accarezzi mentre dormono. Poi ha imparato».

Manca dalla Sardegna ormai da quasi trent’anni e ha vissuto tra Milano e gli Stati Uniti. Ha mantenuto rapporti di amicizia nell’isola?

«Assolutamente sì. Ho sempre lo stesso gruppo di amiche, abbiamo una chat molto attiva. E ci vediamo ogni volta che è possibile».

Quali sono i suoi luoghi del cuore in Sardegna?

«Sassari, ovviamente, la mia città. Adoro le vie del centro storico e passo sempre volentieri nelle strade attorno al Liceo Azuni, dove studiavo. Stavamo là a chiacchierare prima e dopo la scuola, andavamo in via Muroni a mangiare la focaccia alla ricreazione. L’ippodromo è un altro posto al quale sono legatissima. Da quando avevo 11 anni è diventato un appuntamento fisso delle mie settimane: grazie a Giovanna Denughes e le figlie Raffaella e Maria Paola ho portato avanti la mia passione per i cavalli e ho condiviso tanti bellissimi momenti di crescita».

Lei ha un rapporto speciale anche con Alghero.

«È l’altro centro del mio mondo nell’isola. Un luogo magico, dove ogni anno cerco di trascorrere almeno un mese. Ne avverto davvero il bisogno, se per qualche ragione non posso andarci per me è un problema. Mi piace passeggiare, girare in bici. E andare in spiaggia, ovviamente: io sono da sempre del “team” delle Bombarde, ma adoro anche le calette del Lazzaretto. Ma c’è anche un altro luogo del cuore in Sardegna».

Quale?

«Porto Alabe, a Tresnuraghes. Là c’è la casa che mi ha lasciato mio padre e ci vado spesso. Sarà lì il mio ritiro. Mi vedo lì, tra vent’anni, davanti al mare e piena di cani. Con un pezzetto di terreno e un cavallo».

Niente più mondanità?

«Certo, perché no? Ma la vita quotidiana e la ricerca della qualità della vita sono un’altra cosa. In Sardegna abbiamo paesi stupendi. Siamo un po’ tutti fissati col mare, ma abbiamo boschi, laghi, borghi, cose bellissime, Non dico che vadano trasformati in mini-città, ma dotandoli dei servizi essenziali questi piccoli centri sarebbero molto attrattivi. Uno che viene da Berlino o da Londra, anziché al mare potrebbe scoprire e amare l’entroterra, che è davvero per pochi intenditori».

Dopo il diploma all’Azuni fece i bagagli e si spostò a Milano per studiare. Com’era Elisabetta quando è andata via da Sassari?

«Ero convinta che avrei fatto qualcosa di divertente, sono sempre stata ottimista. Avevo voglia di partire, come molti dei miei compagni. Solo che alla fine siamo andati via per davvero soltanto in due. Ho sempre avuto le idee chiare sul fatto che volessi misurarmi con realtà più grandi e cercare opportunità diverse dalle solite che vengono offerte ai giovani in Sardegna. Volevo uscire dalla provincia e così decisi di andare a studiare a Milano. Da lì è iniziato tutto».

Che ricordi ha di quegli anni sassaresi?

«Sono stati anni bellissimi, adoravo tutto quello che facevamo, tutto era divertente e coinvolgente. Facevo sport, andavo al palazzetto a vedere le partite della Dinamo, frequentavo l’Acr a San Giuseppe. Non esistevano i telefonini, ci si frequentava, si viveva con una semplicità fantastica. Non avevo borsette alla moda, nessuno di noi inseguiva il brand, come magari facciamo oggi. Quando facevamo “feria”, cioè non entravamo a scuola all’insaputa dei genitori, andavo a mangiare i cornetti caldi al Mokador».

Un attimo: Elisabetta Canalis marinava la scuola?

«Ma certo. E tra l’altro dovevo stare doppiamente attenta perché avendo una madre insegnante c’erano ottime probabilità di essere vista in giro da qualche sua collega. E poi falsificavo il cartellino, per fortuna spesso alla prima ora avevo la professoressa Poli, che aveva la casa al mare davanti alla nostra e faceva finta di non accorgersi che la firma era falsa. A quel punto era fatta».

A proposito di intenditori, a chi piace oggi Elisabetta Canalis?

«Instagram dice a una fascia di età che va dai 25 ai 50. Ci fidiamo?».

È faticoso mantenersi sempre al top a livello fisico anche sulla soglia dei cinquanta?

«Mi ritengo molto fortunata: ancora tengo botta, considerando anche che le persone con le quali mi interfaccio hanno 20-30 anni. La cura del corpo è molto importante, per il lavoro che faccio è addirittura fondamentale, ma per me non è un sacrificio. Allenarmi mi piace, mi è sempre piaciuto e chiaramente questa è una fortuna».

L’inseguimento della perfezione a livello fisico non è una fonte di stress?

«Con il mio aspetto e il mio fisico ci lavoro, come ho detto, e l’ansia da girovita ce l’abbiamo tutti. Ma nella mia vita privata l’aspetto fisico non è la cosa principale. Sono sempre stata fedele al mio essere casual in quello che faccio. Quello che si vede nelle foto e nelle pubblicità è un’uniforme, ma al di fuori di quello sono easy e naturale. Al di là di shooting e appuntamenti vari, tra figlia cani e tutto il resto non mi vedete molto spesso con le scarpe col tacco».

Ha più volte dichiarato di essere andata a vivere a Los Angeles per avere una vita normale. Com’è il suo rapporto con la celebrità?

«Vivo in America per scelta, di certo qua è difficile incontrare qualcuno che mi chieda un selfie. Qui sto benissimo, ma ho anche la fortuna di lavorare tanto in Italia. Ci torno di solito ogni due mesi, per una decina di giorni: lavoro tanto, e poi rientro. E comunque l’affetto delle persone per strada è sempre un grande piacere. Quando vengo in Italia mi sorprende ancora il fatto di essere conosciuta e riconosciuta. Considerate anche che quando vanno in onda la pubblicità io non lo so, non la vedo, e dunque quando qualcuno mi dice di avermi vista in tv resto sempre colpita».

Tra poco parteciperà a Physical Italia, una trasmissione di Netflix. Ma cosa le piacerebbe fare in futuro?

«Mi piacerebbe fare qualcosa di mio, avere business che nasce dal mio lavoro e farlo diventare il main core. Ma non ho fretta, ogni cosa a suo tempo».

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