La Nuova Sardegna

L’intervista

La virologa Ilaria Capua a Sassari: «Con il cambiamento climatico più malattie esotiche anche nell’isola»

di Davide Pinna
La virologa Ilaria Capua a Sassari: «Con il cambiamento climatico più malattie esotiche anche nell’isola»

La dottoressa: «La prevenzione è fondamentale: chi si vaccina tiene liberi i posti negli ospedali»

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Un mondo complesso, dove le sfide globali hanno ricadute nella vita di ogni giorno. È il concetto di salute circolare, il tema della lectio doctoralis che domani la virologa Ilaria Capua terrà nell’aula magna dell’Università di Sassari. Questioni che riguardano la Sardegna da vicino, basta pensare a malattie come la febbre del Nilo, 39 casi nell’isola quest’estate e quattro vittime, o la dermatite bovina. Tutte patologie arrivate in Sardegna per colpa del cambiamento climatico. Ilaria Capua è una delle scienziate italiane più autorevoli sul piano internazionale ed è specializzata nello studio delle infezioni virali che possono trasmettersi dagli animali agli uomini. Oggi è Senior fellow of Global Health alla John Hopkins University - Sais Europe e direttrice emerita del Centro di eccellenza One Health dell’Università della Florida. All’attivo ha centinaia di pubblicazioni e ricerche, è stata in prima fila nel racconto scientifico della pandemia da Covid19 e nel 2006 legò il suo nome alla rivoluzione che portò alla massima trasparenza e condivisione dei dati sul genoma dei virus di origine animale che colpiscono l’uomo, uno degli elementi che consentì di sviluppare in tempi record i vaccini anti-Covid.

Per la prima volta l’Università di Sassari assegna il riconoscimento del Dottorato di ricerca Honoris Causa e ha scelto lei. Come si sente?

«Certamente è un grande onore per me, ma non solo. Penso che sia un riconoscimento per tutte le professioniste, quelle che lavorano nel campo della ricerca biomedica ma non solo, a cominciare da quelle sarde».

È difficile oggi, per una donna, entrare nel mondo della ricerca?

«Quello che dico vale per la carriera veterinaria, ma non solo. Certamente, essere donna e puntare a una vita professionale gratificante, e quindi impegnarsi, vuol dire dover affrontare diversi sacrifici. E anche rompere degli schemi, perché nell’immaginario collettivo le donne certi mestieri non dovrebbero farli. Però il mondo sta cambiando, l’immaginario collettivo sta cambiando, tanto che abbiamo un primo ministro donna, anche se questi cambiamenti richiedono tanto tempo. E allora le donne che hanno questo desiderio devono riuscire a non farsi schiacciare da aspettative e condizionamenti che affrontiamo ogni giorno. Si può essere uno scienziato di successo e allo stesso tempo avere una famiglia e una vita piena di soddisfazioni, ma è una strada in salita e, per affrontarla, serve preparazione».

La Sardegna, quest’estate, ha dovuto affrontare due sfide nel campo della salute animale e umana: la dermatite bovina e la West Nile. Cosa c’è all’origine di queste malattie?

«La Sardegna è un’isola al centro del Mediterraneo, sede di migrazioni umane a animali. E quindi anche di insetti. E proprio gli insetti hanno portato in passato la lingua blu, e ora la dermatite bovina e la febbre del Nilo. Sono malattie che un tempo erano definite esotiche, ma a causa del riscaldamento globale, l’innalzamento delle temperature ha creato un clima accogliente per gli insetti che le trasportano, come le zanzare, anche in Sardegna. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee che, nei prossimi 25 o 30 anni, saremo sempre più colpiti da malattie che un tempo consideravamo esotiche. Questa è una delle sfide che la Sardegna e tutta l’Italia dovranno affrontare nel campo delle malattie infettive».

Come possiamo contrastare questo fenomeno?

«Nella lectio doctoralis che terrò domani parlerò di salute circolare. Gli antichi greci pensavano che la nostra salute fosse governata dai quattro elementi. E 2.500 anni dopo si scopre che quell’idea è ancora molto attuale. La nostra salute dipende da quello che mangiamo e viene dalla terra, ma anche dall’acqua che è un elemento necessario per qualsiasi forma di vita, dalla qualità dell’aria e dal fuoco, inteso come riscaldamento globale ma anche come il fenomeno degli incendi. Ecco, le sfide sanitarie vanno affrontate in maniera integrata. Ad esempio attraverso la prevenzione».

Prevenzione e quindi vaccini.

«Certo. Faccio alcuni esempi: il Fuoco di Sant’Antonio è una malattia dolorosissima e debilitante. Prevenirla attraverso i vaccini ha un costo, ma è comunque molto più economico per il Servizio sanitario nazionale che curarla. Un’altra vaccinazione fondamentale è quella contro il papilloma virus umano, che può provocare infezioni che a loro volta possono causare tumori della cervice o lesioni dell’apparato genitale maschile. Abbiamo scoperto che, fra chi ha fatto i tre vaccini che completano il ciclo, l’incidenza del tumore è zero. E infine l’influenza o il Covid: gli ospedali hanno posti letto limitati, chi si vaccina ha minori probabilità di occuparne uno questo inverno, lasciandolo libero per chi invece è stato colpito da una malattia che non si può prevenire».

Prevenire vuol dire anche farsi trovare pronti davanti a nuove eventuali pandemie. Lo siamo?

«Le pandemie ci saranno finché ci sarà l’uomo. Noi, in quanto sopravvissuti, abbiamo il dovere di portare avanti politiche e comportamenti per evitare che quanto successo accada di nuovo. Dovremmo fare tesoro di quanto abbiamo imparato, ma purtroppo è come se ci fosse una sorta di amnesia collettiva che dobbiamo contrastare».

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