La Nuova Sardegna

L’intervista

Sanità, Carlo Doria: «Bartolazzi è un medico preparato, ma non conosceva la realtà sarda»

di Luigi Soriga
Carlo Doria ex assessore regionale alla Sanità
Carlo Doria ex assessore regionale alla Sanità

Gli intoppi: «Fuoco amico e qualche “assessore ombra” di troppo»

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Sassari La sanità sarda è un ingranaggio complesso che gioca colpi scena. L’ultimo cambio di timoniere porta il nome di Bartolazzi.

E allora è utile ascoltare chi è già stato in cabina di regia, come Carlo Doria, suo predecessore alla guida della Sanità, che di retroscena se ne intende.

Qual è il suo giudizio su Bartolazzi e cosa pensa di questa revoca dell’incarico?

«Dal punto di vista umano e professionale lo apprezzo molto. È un medico preparato, con una solida cultura. Ma ha pagato un limite evidente: non conosceva la macchina sanitaria regionale, né le peculiarità della Sardegna, che sconta l’insularità anche nel reclutamento e nella formazione del personale»

Quindi un limite di conoscenza del territorio?

«Sì. Nonostante avesse un’esperienza di governo importante (sottosegretario nel 2018-2019, in un periodo davvero critico per la sanità italiana) ha scontato il non conoscere fino in fondo le dinamiche regionali. Gli do comunque una sufficienza piena. Lo promuovo. Anche perché spesso si è ritrovato, tra virgolette, solo. E qualche “assessore ombra” non gli ha certo facilitato il lavoro, vedi il caos sugli OSS. E qualcun altro in maggioranza gli ha teso delle trappole»

Ha letto le sue ultime dichiarazioni? Che impressione le hanno fatto?

«Mi sono sembrate le parole di una persona perbene che si è messa a disposizione di un progetto e che ora esce un po’ ferita. Era una intervista fatta di pancia. Lo capisco. Ma capisco anche la Presidente Todde: in un momento in cui bisogna nominare i direttori generali, un assessore sotto attacco anche dalla propria maggioranza diventa un bersaglio facile. Un conto è dare quei poteri a un assessore indebolito, un’altra è farlo direttamente come Presidente, con il peso politico che solo lei può esercitare».

Su quali fronti Bartolazzi avrebbe potuto incidere di più?

«Gli riconosco un grande merito: il lavoro sul tavolo oncologico regionale. Da anatomopatologo, coglie bene i bisogni dell’oncologia e ha arricchito quel tavolo che avevo aperto io. Quello che invece non condivido è l’idea, emersa nella sua intervista, che i direttori generali vadano presi tutti da fuori perché la Sardegna non esprimerebbe competenze adeguate. Assolutamente no. Abbiamo tante professionalità eccellenti. E sono certo che la Presidente Todde lo sappia bene».

Lei stesso, da assessore, aveva nominato dirigenti di diverso orientamento politico.

«Certo. La sanità non può essere una guerra di appartenenze. Faccio due esempi: abbiamo nominato Andrea Marras all’Ogliastra, storico esponente Pd. È preparato e onesto: lo rinominerei mille volte. Quando si parla di salute pubblica, non conta il colore politico: contano solo le capacità».

Quali sono le criticità irrisolte?

«Le principali riforme della sanità territoriale: Case di comunità, AFT, medicina di base, pronto soccorso. Pochi ricordano che il 4 marzo 2024 ho firmato con tutte le sigle sindacali la bozza dell’accordo integrativo regionale della medicina generale. Portava il budget da 28 a 61,5 milioni e riorganizzava la continuità assistenziale. Le guardie mediche, infatti, sono ancora strutturate come nel 1978: un modello superato. Oggi, senza strumenti diagnostici, nessuno si assume il rischio di dire “torni a casa, non è niente”: e tutti finiscono in pronto soccorso. La mia riforma prevedeva guardie mediche H24, dotate di infermieri, amministrativi e telemedicina. Dovevano diventare piccoli punti di pronto soccorso territoriale. Era tutto pronto, ma questa giunta lo ha tagliato».

Che cosa si aspetta ora, dopo l’uscita di Bartolazzi?

«Mi aspetto che si faccia la finanziaria e che la Presidente eserciti pienamente il suo ruolo politico. Che nomini un assessore tecnico, di sua fiducia, competente e soprattutto conoscitore della sanità sarda. La sanità non può essere la tela di Penelope: uno costruisce, l’altro smonta. È il dramma della Sardegna da anni. Serve continuità, indipendentemente dal colore politico».

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