La Nuova Sardegna

Sassari

La lente della Procura su 118 consiglieri regionali

La lente della Procura su 118 consiglieri regionali

Per ora nessun nuovo indagato per i fondi ai gruppi politici regionali, l’esame dei documenti sarà lungo e complesso

12 novembre 2012
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CAGLIARI.

Con l’indagine-bis sull’uso dei fondi assegnati ai gruppi del consiglio regionale la Procura cagliaritana ha stabilito probabilmente un record: calcolando i venti già sotto processo, l’inchiesta giudiziaria potrebbe riguardare complessivamente l’attività di 138 deputati della Sardegna a cavallo di due legislature. Questo non significa che tutti o anche solo una parte dei 118 nuovi nomi all’attenzione del pm Marco Cocco siano o rischino di essere coinvolti nel procedimento: finora non c’è alcun elemento di interesse penale che possa avvalorare l’ipotesi accusatoria, il fascicolo è stato aperto contro ignoti e l’esame dei documenti acquisiti da carabinieri e guardia di finanza è appena cominciato. L’ampiezza potenziale dell’indagine è però impressionante, perché riguarda le spese per ragioni politico-istituzionali di due assemblee regionali in un arco di tempo che va dal 2004 ad oggi, otto anni in cui nessun altra Procura italiana aveva mai messo il naso nei conti dei gruppi politici regionali.

I fatti dicono che i due esposti-denuncia firmati dalla coraggiosa funzionaria del gruppo misto Ornella Piredda e la decisione conseguente del procuratore capo Mauro Mura di andare a vedere quanto ci fosse di vero in quelle accuse ha aperto la strada ai pubblici ministeri dell’intera penisola, che seguono la traccia indicata da Cagliari: si indaga per peculato. Tutto questo malgrado i magistrati di piazza Repubblica si siano mossi all’interno di un quadro legislativo come quello della Regione sarda, saldamente ancorato a uno statuto autonomo che prevede solide garanzie per l’attività dei consiglieri isolani. Un campo minato, dove si è sempre fatta molta fatica a distinguere i confini tra libera attività politica e uso improprio del denaro pubblico. Difatti, al di là delle posizioni processuali individuali, la battaglia legale tra accusa e difesa si è aperta formalmente all’udienza preliminare del 26 settembre scorso proprio con l’analisi di questa zona grigia tra politica e legalità. Sono stati gli avvocati Benedetto Ballero e Maurizio Scarparo a sostenere fin dalla fase preliminare del processo che l’uso dei fondi pubblici da parte dei consiglieri regionali non è sindacabile neppure dalla magistratura. Ma già nella fase di partenza dell’indagine era stato il legale del consiglio regionale Giampaolo Falchi - in un parere seguito all’ordine di esibizione dei primi atti firmato dalla Procura - a sostenere (citando il giurista Vladimiro Zagrebelsky) che l’autorità giudiziaria non possa essere «arbitra dell’attività legislativa» e che «per l’attività dei componenti gli organi politico-legislativi e a differenza di ciò che avviene per i soggetti della pubblica amministrazione, la categoria dell’interesse pubblico è così lata e indefinita, così rimessa in fondo all’apprezzamento soggettivo dei singoli parlamentari che può legittimamente avvenire, quasi per paradosso, che l’interesse pubblico venga identificato nell’interesse particolare dei singoli individui». La riposta del giudice Cristina Ornano, contenuta nell’ordinanza del 24 ottobre, è stata chiarissima e perfettamente allineata alla tesi della Procura: il magistrato ha sostenuto - citando la Corte Costituzionale - che «nessuna fonte regionale, compresa quella delle regioni autonome, potrebbe introdurre nuove cause di esenzione dalla responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale». Come dire: l’autonomia del consiglio regionale e l’insindacabilità dei suoi atti - e quindi delle sue spese - finiscono quando l’attività va in contrasto con le norme del codice penale. Ed è proprio questo il campo in cui si sta muovendo la Procura, che nelle dichiarazioni davanti al giudice del consigliere dell’Idv Adriano Salis - interrogato su sua richiesta dal pm Cocco - ha riscontrato quanto basta a rendere obbligatoria una nuova fase dell’inchiesta avviata nel 2009. Se è vero, come ha sostenuto Salis, che «tutti i consiglieri prendevano soldi» e li usavano per scopi diversi da quelli ammessi - questo Salis non l’ha detto - il processo potrebbe allargarsi assumendo dimensioni clamorose. Ma perché questo avvenga dovrà essere verificato quell’uso improprio dei fondi, finora accertato - secondo il pm Cocco - solo per i venti consiglieri finiti sotto procedimento penale. Sulla posizione degli altri 118 - alcuni sono scomparsi - carabinieri e fiamme gialle faranno il loro lavoro partendo dagli atti generali dei gruppi e dalla tracciatura delle spese. Esattamente come si è fatto nella prima fase d’inchiesta. Sarà un lavoro lungo, ma non c’è rischio di prescrizione: dodici anni e mezzo dovrebbero bastare. (m.l.)30

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