La Nuova Sardegna

Sassari

Sesso con la sposa bambina, condannato

di Elena Laudante
Sesso con la sposa bambina, condannato

Un anno a giovane rom per avere avuto rapporti con la “moglie” 15enne. Per la loro comunità è normale, per la legge è violenza

28 novembre 2012
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Il paradosso è che lei credeva di alleggerire la posizione del compagno. Chiamando marito il futuro sposo, l’uomo che la sua famiglia aveva scelto come consorte, pensava di far capire ai giudici che il figlio che aveva concepito, e che purtroppo era morto prima di venire al mondo, era frutto del loro amore. Non certo di un gesto proibito, al limite dello stupro. Ma il suo codice, il codice della comunità Rom, non coincide con quello penale. E il “marito”, un ragazzo di 23 anni che ha avuto rapporti con la ragazzina quando ne aveva 15, ed era forse sua convivente, ha commesso un reato. Il giudice dell’udienza preliminare ieri ha dovuto decidere in base al Codice penale, non a quello dei Rom. E ha condannato il giovane consorte a un anno di reclusione, senza sospensione condizionale, per atti sessuali su minore.

Vero è che, nel decidere, il magistrato Rita Serra ha considerato il fatto probabilmente di minor gravità, nel senso che forse è partita dal minimo della pena – 3 anni – e poi ha diminuito l’entità di altri due terzi, per effetto delle attenuanti generiche e della scelta del rito, l’abbreviato.

Ma lei, la piccola “vittima”, che in realtà è una sposa-bambina, ci è rimasta di stucco. Di processi per furto in appartamento, va da sé, ne aveva visti, almeno perché qualcuno della sua comunità, nel campo di Sassari, prima o poi nelle aule di Giustizia ci è passato. Ma quelle erano conseguenze di violazioni, per così dire, comprensibili. Essere condannati perché era andata a letto col suo futuro marito, no: era qualcosa che lei non può concepire. Ma tant’è. Forse questo processo non sarebbe nemmeno iniziato se lei non avesse detto ai giudici che quel ventenne era suo marito.

Era successo quando, nel febbraio 2011, il padre di lui aveva chiesto al tribunale per i Minori di Sassari di adottare la ragazzina, lasciata in Italia da genitori nomadi residenti in Svizzera. Era tutto secondo tradizione e cultura valoriale, per la quale il matrimonio tra giovanissimi è norma. Un tempo, e talvolta si usa ancora, erano addirittura nozze per compera. Nel febbraio 2011, si diceva, la famiglia dell’aspirante marito chiede ai Minori di adottare la ragazzina. Nel corso dei colloqui con gli assistenti sociali, lei rivela di aver avuto un aborto, di aver perso il figlio concepito con suo “marito”. Quando pronuncia quella parola, scatta l’accusa. Perché se hai più di 14 anni, ma meno di 16, qualsiasi incontro intimo con chi vive con te, che sia fratello, padre, patrigno o aspirante consorte, è punito dalla legge italiana. È considerato un atto sessuale proibito. Che può costare a lui una condanna da tre a sei anni. Non importa se lei è consenziente, se nel frattempo ha compiuto 16 anni, se nella cultura Rom l’unione tra under 18 è tra i perni della struttura sociale. Il reato scatta automaticamente, indipendentemente dalla condizione psicologica della ragazzina. Che infatti poi spiegherà: «Per me dire marito significava che il nostro rapporto era importante, che non ero stato col primo che capita».

In realtà, all’epoca dei fatti i due non erano ancora sposati, come spiegherà in aula il difensore dell’imputato, l’avvocato Maria Grazia Sanna. Ma dal tribunale per i Minori la denuncia è partita lo stesso, obbligatoria. E per questo il pubblico ministero Roberta Pischedda, nell’udienza dell’11 ottobre, non aveva potuto far altro che chiedere la condanna, a 2 anni e 6 mesi, considerando che il fatto – vista anche la gravidanza – non fosse poi così lieve. In aula, un parente aveva cercato di scagionare il marito nei guai, aveva assicurato che allora erano i due solo fidanzati e che fino al compimento del sedicesimo anno, la (futura) sposa bambina dormiva con le donne della famiglia, mentre agli uomini era riservata una sistemazione separata. E ieri l’avvocato Sanna ha ricordato come, dal punto di vista psicologico e culturale, quel comportamento è del tutto naturale nelle comunità Rom. Ma la loro legge non è andata oltre il confine del campo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative