La Nuova Sardegna

Sassari

Salvatore Ferrandu: «Così l’ho visto aiutare gli emigrati»

di Pier Giorgio Pinna

Il racconto di che cos’era Buenos Aires negli Anni ’70 e ’80 quando molti sardi erano tra i poveri accuditi dalla Chiesa

27 marzo 2013
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Non è in pensione: perché i sacerdoti non vanno mai a riposo, neppure a ottantasette anni. Ma da quando nel 2011 ha cessato la sua attività nel settore della Conferenza episcopale dedicato agli emigrati italiani Salvatore Ferrandu ha scelto di professare uno stretto riserbo. Ed è solo per dare una testimonianza delle esperienze in Sudamerica e degli incontri col vescovo di Buenos Aires destinato a diventare il nuovo Papa che accetta d'infrangere il silenzio.

Memorie. «L'Argentina degli anni Settanta e dei decenni successivi è stata una terra povera dove però la spontaneità e la diffusione della fede costituiscono elementi molto forti, in particolare tra gli emigrati italiani, i più poveri tra i poveri, e anche tra i sardi, comunque sempre riservati nel loro credo», rammenta il monsignore. Che poi, lentamente, comincia a sfogliare il libro dei suoi ricordi: «Ho conosciuto Jorge Mario Bergoglio nel 1978, durante la mia prima visita a Buenos Aires, già allora una metropoli in un Paese largamente popolato da nostri conterranei. Per le strade si parlava l'italiano. E in italiano si cantava persino in chiesa. In questa realtà, dove il nuovo Pontefice è stato prima bambino figlio di emigrati piemontesi e poi ragazzo, io l'ho incontrato nella capitale argentina, di cui era all'epoca vescovo ausiliare».

Descrizioni. «Com'era? Oh, esattamente come oggi _ spiega, dopo una breve pausa, monsignor Ferrandu _ Era più giovane, ma il suo animo il medesimo di adesso. Vestiva modestamente. Portava con l'abito dei gesuiti. Indossava scarpe semplici. Stava con i poveri, predicava per i poveri: aveva già fatto la scelta che tutti noi abbiamo potuto vedere riaffermata una volta di più nei primi giorni di pontificato».

Rispetto. «Per tutte queste ragioni era molto stimato e popolare _ prosegue _ Ma assieme alla semplicità ha sempre dato prova di un carattere libero e forte, tipico di chi è pronto a difendere la libertà di chi non ha libertà: ecco perché non si deve credere alle voci false di sue presunte connivenze col regime. E' vero semmai il contrario: proprio in difesa dei più deboli chiese almeno una dozzina di volte udienza al dittatore Videla, ma non venne mai ricevuto».

Altruismo. «Se ho avuto modo d'incontrare il Papa dopo quella prima occasione del '78? Certo. Sì. Altre due – risponde Ferrandu – È stato negli anni successivi. Quando già era stato nominato vescovo residenziale. Ma lui è rimasto sempre così: semplice, aperto al confronto e allo stesso tempo risoluto, pronto ad agire. E adesso sono certo che Papa Francesco continuerà ad amare e a prendersi cura degli emigrati italiani con la generosità di sempre».

Ristrettezze. Già da allora infatti i sardi in Argentina avevano spesso contatti con lui a Buenos Aires, città che deve il suo nome alla Madonna di Bonaria, a Cagliari. E sono stati aiutati da Jorge Mario Bergoglio perché erano tra i più indifesi nelle schiere degli europei arrivati in Argentina alla disperata ricerca di lavoro.

Organizzazione. «Tant'è vero che siamo stati proprio noi a darci da fare per contribuire a fondare il primo circolo dei sardi a Buenos Aires _ spiega monsignor Ferrandu _ Del resto, perché stupirsi? Mentre in Europa la nostra realtà pastorale si basa sulle missioni cattoliche italiane, oltre Oceano invece i vescovi hanno preferito inserire nelle loro parrocchie gli emigrati».

Flussi differenti. «Nel primo caso infatti i lavoratori erano destinati a tornare in patria dopo un certo periodo e si sono sempre considerati provvisori nei Paesi d'accoglienza», chiarisce ancora.

Destini incrociati. «Ma, quando si scelgono le Americhe, l'Australia o la Nuova Zelanda, quel viaggio è definitivo: e tutto questo il nuovo Papa, fin da quei tempi, lo sapeva bene, anche se proprio a lui è stato chiesto adesso di tornare nella terra dei suoi avi», conclude Salvatore Ferrandu chiudendo il suo album di memorie.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative