La Nuova Sardegna

Sassari

Più di nove mesi per una colonscopia

di Luigi Soriga
Più di nove mesi per una colonscopia

Impossibile al momento abbattere le liste, l’Asl cerca di stabilire più regole e garantire tutte le emergenze

30 maggio 2013
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SASSARI. L’abbattimento delle liste d’attesa è uno dei più grandi grattacapi delle Asl. Fa capolino sistematicamente tra i buoni propositi dei piani aziendali, ogni anno si parla di investimenti in infrastrutture e in personale, eppure i pazienti quando alzano la cornetta e chiamano il centro unico di prenotazione, è meglio che si facciano il segno della croce e sperino di non avere niente di grave. Per alcuni esami o visite, infatti, la risposta della sanità continua ad arrivare in tempi biblici. Ecco qualche esempio, partendo dai più clamorosi: se uno ha bisogno di una colonscopia e non ha i soldi per svolgerla privatamente, allora dovrà armarsi di pazienza e attendere 283 giorni. Tutto questo all’insegna della prevenzione e alla lotta ai tumori. Sempre in tema, una risonanza alla vescica e alla prostata richiede un’attesa di 253 giorni. Invece la prima visita gastroenterologica a Sassari sarà disponibile dopo 256 giorni, la mammografia dopo 203 giorni e quella oculistica dopo188. Il ministero tiene costantemente d’occhio le Asl, impone dei report quasi a cadenza mensile sull’erogazione dei servizi e impone anche uno standard di efficienza: la sanità perfetta dovrebbe garantire il 90 per cento delle visite richieste attraverso il Cup in 30 giorni. Invece gli esami strumentali (come tac, ecografie e risonanze) dovrebbero essere prenotati nell’arco di due mesi. Ma questi parametri, da decenni, sono pura utopia, perché l’allungamento delle liste di attesa è un problema fisiologico e irrisolvibile. Tanto per chiarire il concetto: nella sanità vige una sorta di legge di mercato, della domanda e dell’offerta. Se l’Asl mettesse a disposizione più ecografi e più radiologi e restringesse per un attimo le liste d’attesa, il mese successivo i pazienti in fila sarebbero il doppio. Insomma, è un fenomeno difficile da gestire, a fronte soprattutto di un’altrettanto fisiologica carenza di soldi. Quindi messo da parte il miraggio di abbattere definitivamente le liste, l’approccio messo in campo dall’Asl è più pragmatico: se non si può eliminare l’attesa, almeno si può tentare di governarla. Da qualche mese alla guida del centro unico di prenotazione c’è Gianpaolo Mameli. La sua proposta operativa, per migliorare la gestione è questa: «Se non si possono ridurre drasticamente le code, occorre perlomeno stabilire delle priorità. Non si può rischiare di far finire dentro il calderone dei 280 giorni di attesa delle emergenze, dei casi cioè che andrebbero accertati nell’arco di qualche giorno». Saranno i medici di base a stabilire e indicare nel ricettario le priorità, barrando le caselle: perciò gli operatori del cup avranno un’indicazione precisa attraverso la quale catalogare e trattare la richiesta del paziente. Le tipologie saranno queste: urgente, breve, differito e programmato, e andranno evase rispettivamente in 3 giorni, 10 giorni, 30 giorni e via a scalare. «Così chi ha realmente bisogno di un esame avrà una risposta rapida». Poi ci sono altri accorgimenti per snellire l’assistenza: «L’impegno è che tutti i medici vadano a cup, così come l’intramoenia – prosegue Mameli – le agende non si chiuderanno più, perché il paziente dovrà conoscere in ogni momento la tempistica delle prestazioni e anche l’Asl deve poterla monitorare. Questi dati, per una questione di trasparenza, saranno pubblicati sul sito dell’Asl, in attesa che venga predisposto il Cupweb, che consentirà ai medici di base, ai farmacisti e aicittadini di prenotare on-line un esame o una visita».

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