La Nuova Sardegna

Sassari

Costruire un futuro per la televisione pubblica

Rosario Cecaro

Il caso greco dimostra che la Ue sacrifica ai bilanci il rispetto della libertà di espressione e delle funzioni del servizio pubblico

16 giugno 2013
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Informare, educare, intrattenere. E, ancora: notiziari di alta qualità; sostegni a scuole e università; diffusione delle nuove tecnologie; stimoli alla creatività e alla cultura; visibilità a tutte le realtà del Regno Unito; far conoscere al mondo la cultura britannica e il mondo alla Gran Bretagna. Sono questi i principi che regolano il servizio pubblico radiotelevisivo della Bbc. E poiché la Bbc, in 91 anni di vita, ha rappresentato il modello per tutte le emittenti pubbliche europee, questi possono essere considerati anche i fondamenti che giustificano l'esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo.

Per ragioni storiche, politiche e culturali, Radio e tv in Europa sono nate come servizio pubblico controllato dallo stato e, in poco meno di un secolo, il sistema non è mai stato messo seriamente in discussione. Pochi giorni fa uno dei paesi della Ue, la Grecia, ha chiuso l'emittente pubblica Ert. Il governo (retto da una coalizione di centro-destra e centro-sinistra) con un preavviso di poche ore, ha licenziato i 2700 dipendenti e l'emittente pubblica ha cessato le trasmissioni. E' una decisione senza precedenti in Europa e anche in Grecia la radio pubblica non aveva mai interrotto le trasmissioni, neppure durante la guerra e l'occupazione nazista. Secondo i creditori della Grecia la Ert costava troppo ed era poco efficiente: avevano chiesto che venisse riformata ma, in un anno, il governo non ha fatto niente se non, appunto, chiuderla. La tv pubblica (riferisce la Bbc) era ritenuta dalla grande maggioranza dei greci troppo filogovernativa, in occasione soprattutto dei recenti provvedimenti economici e dei conflitti che stanno sconvolgendo la società greca: ma è stato ovviamente il governo a imporre all'emittente pubblica una linea editoriale filogovernativa. Sprechi e stipendi alti, anche in un momento di sacrifici per tutta la popolazione, era questa l'altra accusa. In realtà un caporedattore con 17 anni di anzianità percepiva 1440 euro al mese, gli stipendi alti erano riservati a quelli (non molti) assunti in quanto parenti o amici di parlamentari. Anziché dimettersi o, almeno, correggere gli errori, governo e politici greci hanno preferito chiudere Radio e TV pubblica (promettendo di riaprirla dopo aver assunto solo professionisti indipendenti: è credibile?).

Una vicenda paradossale, ma non solo. L'emittente pubblica se fa un servizio pubblico ha il dovere di criticare i governi, se necessario nel pubblico interesse (come ha fatto la Bbc, nei confronti del laburista Blair e del conservatore Cameron). Forse è proprio questo che il governo greco non vuole e, temo, non solo quel governo. Già, perché il problema riguarda la Grecia oggi, ma domani, per esempio, il Portogallo, che è già nella lista di controllori e creditori europei. E l'Italia sarà al riparo? La Rai è alle prese con problemi di bilancio e sta riducendo il personale in modo indolore, per ora. A nessuno sfugge che, con l'anomalia del sistema italiano, senza un servizio pubblico radiotelevisivo sia pure imperfetto, non riuscirebbe a sopravvivere la democrazia nel nostro paese. L'informazione non gode in questo momento di buona salute in Europa. Quasi tutte le imprese editoriali hanno problemi di bilancio. La libertà d'informazione è a rischio: in Ungheria è quasi inesistente, in Grecia è compromessa, in Italia ogni tanto zoppica. L'Unione europea si limita a controllare i bilanci, non il rispetto della libertà di espressione, dei principi e delle funzioni del servizio pubblico. Con un'ottica così miope, se si guarderanno soltanto i conti, si rischia la creazione di un'Europa a due velocità anche nel campo delle libertà e dell'informazione pubblica: la democrazia diventerà così una cosa per ricchi, un lusso che potranno permettersi solo i paesi con i conti in ordine.

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