La Nuova Sardegna

Sassari

I ricercatori scommettono sul futuro

di Luigi Soriga
I ricercatori scommettono sul futuro

Sassari: oltre cento dottorandi si ritrovano in aula magna e mettono a confronto le loro esperienze, le difficoltà e i propri lavori

24 settembre 2013
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SASSARI. C’è una concentrazione viva di neuroni nell’aula magna dell’Università. Un piccolo distillato di futuro, se è vero che l’intelligenza, lo studio e il sapere rappresentano ancora un buon punto di partenza per migliorare il mondo. I giovani ricercatori ci credono eccome in questa ambiziosa missione, della quale si sentono investiti. D’altronde anche il titolo del convegno al quale hanno partecipato ieri mattina suona impegnativo: “Ricerca in vetrina 2013, originalità e impatto sul territorio regionale della ricerva scientifica”. È la teoria che cala sulla realtà, gli accademici che si sporcano le mani con i grattacapi quotidiani di un territorio, di un piccolo comune, di un tratto di costa. L’Adi (Associazione Dottorandi Italiani), ieri ha raggrumato un centinaio di giovani cervelli, ognuno dei quali portatore sano di innovazione. Li ha messi uno accanto all’altro, ha permesso loro di raccontarsi, guardarsi in faccia, confrontare esperienze, scambiare conoscenze. L’identikit medio dell’uomo di scienza è questo: una trentina d’anni sulle spalle, la maggior parte dei quali spesi chini sui libri, stipendi da mille euro, 1467 al massimo, la veste di precario indossata come una seconda pelle, e la lucida consapevolezza di esser finiti dentro un trita-speranze inesorabile quale l’Università italiana, dove solo il 13 per cento dei ricercatori potrà approdare al traguardo: cioè alla stabilizzazione, al rango di docente, a una propria cattedra, al sogno. Gli altri saranno come delle comete che per uno o due anni hanno brillato di luce propria, ma che poi la penuria di risorse e i tagli ministeriali finiranno per spegnere.

Uno di questi giovani capaci ancora di emanare bagliori di speranza è Salvatore Lampreu. Ha 33 anni, è di Sedilo, si è laureato da un anno in Scienze dei sistemi culturali, è un dottorando con borsa, campa con 1000 euro, e crede ciecamente nelle potenzialità di una Sardegna formato mosaico, dove ogni piccola identità locale ha le proprie carte da giocare nel grande tavolo dell’economia. Lui ha studiato il caso specifico della Marmilla, ed è convinto che i prodotti tipici, la cultura e l’identità siano valori aggiunti spendibilissimi sul mercato. Ne parla con entusiasmo, con quell’approccio genuino che contraddistingue ancora queste figure professionali in divenire: una via di mezzo tra lo studente e il prof., l’emozione del microfono sopra un solido puntello di conoscenza.

Prima di aggiudicarsi la borsa di studio ha fatto tutti i lavori: cameriere in Irlanda, operatore nel riciclaggio dei rifiuti. «Adesso non posso fare altro, l’attività di ricercatore è una spugna che assorbe tutta la tua vita, non ha orari».

Giuseppe Onni, 41 anni, assegnista di ricerca al Dodo di Alghero, scivola ancora di più nel filosofico: «Noi non siamo dei semplici lavoratori, noi siamo quello che facciamo». Insomma, ricercatore come condizione esistenziale. Un indomito ottimista, animato dalla passione, perennemente squattrinato, con una leggera inclinazione verso il masochismo, che non si piange addosso, convinto nei propri mezzi e nel proprio sacrificio, che ha investito una fetta enorme della propria vita sui libri e sa che sarà difficilissimo tornare indietro. Per certi versi ancora un puro, se in un terreno così sdrucciolevole come quello dell’Università pensa ancora di poter andare avanti con le proprie gambe e con le proprie forze. E dire: «Se hai veramente qualcosa da dare, allora alla fine arrivi».

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