La Nuova Sardegna

Sassari

«Da noi chi parla troppo, campa poco»

di Luigi Soriga
«Da noi chi parla troppo, campa poco»

Il botta e risposta, nell’ultima udienza, tra Bacciu e il giudice: «Lei non conosce il nostro ambiente»

20 febbraio 2014
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SASSARI. Le parole di Saverio Bacciu ora sembrano scritte nella pietra: «Dalle nostre parti non bisogna dire due parole in più, perché chi parla troppo campa poco». Era l’udienza dello scorso 14 febbraio, processo per il duplice omicidio di Buddusò, 29 aprile 2011, zio e nipote uccisi a fucilate davanti al proprio ovile. Chiamato a testimoniare, la settimana scorsa, c’era proprio il padre del ragazzo assassinato. Il pubblico ministero e gli avvocati gli rivolgono domande sempre più stringenti, pretendono un livello di dettaglio maggiore, esigono soprattutto i nomi. E questa è la soglia invalicabile oltre la quale un uomo ruvido come Saverio Bacciu non è disposto a sconfinare. «Come ha saputo queste cose?». Risposta: «Le ho sentite al bar». Domanda: «E chi c’era al bar?». Risposta: «Gente». Domanda: «A lei chi le ha riferito...». Risposta: «L’angelo custode». E alla fine, in modo anche inusuale, il presidente del collegio giudicante prende di petto il testimone e usa le parole come fossero un ariete, lo pungola nell’orgoglio, per vedere se la sua scorza avrebbe accusato cedimenti. «Lei è un uomo coraggioso, ci sono momenti nella vita in cui bisogna fare delle scelte. Uno sforzo di verità forse lo deve anche alle persone care che oggi, quella verità, non possono più raccontarla». Saverio Bacciu per un momento vacilla. Si vede che la sua anima ribolle, e che quel fiume che si agita dentro sarebbe pronto a rompere gli argini. Alla fine sul microfono rovescia una rabbia pacata, e di quel torrente impetuoso tracimano solo poche lacrime. «Signor giudice, se avessi fatto di testa mia non mi troverei qui a parlare con lei. Io ho pensato a un’altra strada, a una giustizia diversa. Ma che futuro avrebbe la mia famiglia e i miei figli se gli lasciassi in eredità una faida? Io sono stato già minacciato di morte e così mia moglie. Lei mi parla in questo modo solo perché non conosce abbastanza il mio ambiente». Il mondo delle campagne si affaccia nei racconti di questo drammatico processo. E’ un habitat duro, che ha leggi sue, dove spesso prevale il più forte, dove la giustizia è personale e passa attraverso l’avvertimento e la vendetta. C’è una grande familiarità con la morte. Si impara a sgozzare un maiale da ragazzini, non si prova pietà quando si impiccano dei cani, o si taglia la testa a un toro o si accoltella un cavallo. Trovare un fucile non è un problema, e nemmeno usarlo per ridurre a un colabrodo la porta dell’ovile di un confinante. Le diatribe è facile che possano degenerare in una escalation di ritorsioni sempre più violente. Saverio Bacciu non è un uomo incline al compromesso. Sono molte, negli anni, le persone con le quali ha chiuso bruscamente i rapporti. Gli hanno già incendiato un ovile e due trattori. Gli hanno fatto fuori quattro mucche, ucciso un cavallo sauro con una stilettata al petto. Rubato il camion, danneggiato le recinzioni, fatto dispetti. Tutto per questioni di pascolo, sconfinamenti, o gelosie. Con molti suoi ex nemici la famiglia ha risolto, con altri semplicemente non si parla. Ma l’attentato di ieri sembra essere l’ennesimo avvertimento. Della serie: per la prossima udienza ripensa bene alle parole dette. Chi parla troppo, campa poco.

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