La Nuova Sardegna

Sassari

Confapi: «Siamo al collasso Convocate l’Area di Crisi»

Confapi: «Siamo al collasso Convocate l’Area di Crisi»

Le piccole e medie industrie lanciano l’allarme: «Non reggeremo un altro anno» Tra le proposte anche un osservatorio permanente di controllo degli appalti

27 agosto 2015
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SASSARI. Un altro anno come questo e l’economia di Porto Torres, e dunque di una bella fetta del nord Sardegna, è destinata al collasso. Ne è convinta la Confapi Sardegna, ovvero l’associazione delle piccole e medie industrie dell’isola, che lancia l’allarme e si rivolge alla regione. «Chiediamo che venga convocato il tavolo dell'Area di Crisi che un tempo era gestito dalla Provincia – dice il presidente Leonardo Masia – e se questa non fosse più una sua competenza, che siano i sindaci del territorio o la Regione a convocarlo immediatamente. E all’interno del tavolo chiediamo anche l'istituzione di un osservatorio permanente sugli appalti, composto da rappresentanti della Regione, dei due comuni interessati (Sassari e Porto Torres), dal Consorzio industriale e da rappresentanti delle associazioni di categoria ed ovviamente dalle aziende committenti: in modo da poter programmare per tempo le gare, confrontandosi sulle specificità dei lavori e con la fornitura esaustiva da parte delle associazioni di categoria di un data base completo delle aziende». Lo scenario tracciato da Confapi lascia spazio a ben poco ottimismo: «Oramai abbiamo visto di tutto: liquami inquinanti che continuano a riversarsi nella darsena senza che si sappia esattamente da dove arrivi, ma ciò che è peggio nonostante gli impianti siano fermi, quindi non più produttivi da anni. Appalti aggiudicati al massimo ribasso con offerte economicamente non sostenibili nel tempo da aziende che danno lavori in sub appalto nel territorio che poi non pagano. Abbiamo assistito anche ad appalti che prevedevano come pre-requisito un fatturato spropositatamente superiore all'importo di gara, e sia ben chiaro per lavori fino a quel momento, e per anni prima, eseguiti da aziende locali». Poi c’è il discorso sulla Chimica verde: «Una prospettiva ormai ferma al palo, con un progetto ormai dimezzato nelle sue fasi e nei suoi investimenti e la sperimentazione del cardo che non solo è pressoché sparita, ma forse ci si è resi conto non fosse la soluzione ideale». Insomma del protocollo firmato nel 2011 sembrano rimaste solo le buone intenzioni. «La realtà dei fatti ci racconta che le imprese del territorio sono sempre più emarginate, aziende di fuori che si portano anche decine di lavoratori (e non parliamo certamente di professionalità non presenti qui da noi). Sta avvenendo tutto il contrario di ciò che era stato promesso: dove sarebbe la volontà di collaborazione con il territorio? Si può tollerare ancora tutto questo?» Infine c’è il discorso bonifiche, e le fumose conferenze di servizi che da anni non portano a risultati concreti. E naturalmente Fiume Santo: «Negli ultimi mesi si sono moltiplicate aziende "continentali" con lavoratori al seguito. Abbiamo apprezzato la nuova proprietà che ha trasferito la sede legale in Sardegna, ma ora ci attendiamo che illustrino il loro piano industriale, con la speranza che il loro concetto di responsabilità sociale di impresa sia ben superiore rispetto a chi l'ha preceduta. Inoltre la nostra associazione è ben contenta che la magistratura stia facendo luce su eventuali responsabilità di inquinamento, ma chiediamo che le indagini siano il più veloci possibile per poter procedere con i lavori di demolizione e bonifica dei gruppi 1 e 2, utili per liberare un tratto di spiaggia e il ripristino dei luoghi ma anche per dare un boccata di ossigeno alle imprese ed ai lavoratori».

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