La Nuova Sardegna

Sassari

«Ti faccio abortire» marito finisce a processo

di Nadia Cossu
«Ti faccio abortire» marito finisce a processo

Un 31enne sassarese accusato di aver picchiato e minacciato la moglie In aula il racconto della donna: «Ci siamo sposati in carcere, lui era detenuto»

02 febbraio 2020
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SASSARI. Botte e minacce, persino quando era incinta: «Ti faccio abortire!», le avrebbe detto in un’occasione. In un’altra le disse che le avrebbe bruciato la macchina.

Un’esasperazione tale da far cadere la donna – che quell’uomo aveva deciso di sposarlo nonostante il suo passato un po’ burrascoso – in uno stato di grave depressione per il quale è ancora in cura. Ora il marito – difeso dall’avvocato Nicola Rubichesu – è finito a processo con l’accusa di maltrattamenti.

Il personale della squadra mobile di Sassari nel 2016 aveva raccolto la denuncia della donna nel reparto di Ginecologia delle cliniche San Pietro dove era stata ricoverata. Lei aveva raccontato alla polizia che all’incirca da due anni subiva i continui cambiamenti di umore del marito dovuti, a suo dire, principalmente a crisi di astinenza da sostanze stupefacenti di cui faceva uso. L’uomo diventava irascibile quando non riusciva a procurarsi il “fumo”. Inizialmente le aggressioni erano “solo” verbali: «Ti brucio la macchina», «Ti faccio saltare la casa». Tra i due, come aveva raccontato la moglie nella denuncia e come ha confermato in aula al giudice, c’erano anche «dei lunghi periodi di tranquillità. Anche perché io, essendo innamorata di lui – ha spiegato – e avendo capito di che pasta era fatto, per mantenere una situazione di apparente normalità evitavo di dire o fare cose che potevano in qualche modo infastidirlo». La donna ha anche raccontato che a un certo punto la loro convivenza si era interrotta perché lui doveva scontare in carcere una pena residua per uno scippo. Lei sapeva dei suoi guai giudiziari e dei precedenti penali per furto e spaccio di droga ma nonostante questo, proprio nel periodo in cui lui era in carcere, lo aveva sposato. Una volta ripresa la convivenza da marito e moglie, e quando lei era incinta del loro figlio, «lui aveva ripreso ad avere quegli atteggiamenti impositivi, prepotenti, che mi incutevano paura perché minacciava sempre di bruciarmi l’auto o di far saltare in aria la casa. Mi ha alzato le mani solo in due occasioni. Ma sentivo comunque di dovermi proteggere e proteggere nostro figlio dalla sua aggressività verbale che mi faceva stare male. Mi sentivo incapace di difendermi da quella innaturale condizione di sottomissione al suo carattere irascibile. E come tutte le donne innamorate speravo sempre in un suo ravvedimento».

Fino a quelle famose “due occasioni”. La prima quando, nonostante la moglie aspettasse un bambino, l’aveva strattonata con forza. La seconda quando lei aveva “osato” rimproverarlo perché aveva lasciato l’olio sul fornello acceso. «Eravamo in giardino, mi aveva afferrato per il busto strattonandomi e spingendomi verso casa e mi aveva detto: “Ti faccio abortire”. “Ajò all’ospedale altrimenti ti faccio abortire io”». Episodio che l’aveva convinta a denunciarlo.

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