La Nuova Sardegna

Sassari

«Paura del ladro? Ho visto di peggio»

di Luigi Soriga
«Paura del ladro? Ho visto di peggio»

La storia travagliata di Yaya, il ragazzo del Gambia che ha fermato un uomo che rubava i portafogli

14 luglio 2020
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SASSARI. La vita gli ha lasciato molte cicatrici. «Paura di affrontare il rapinatore? No, nessuna. Mi sono capitate cose ben peggiori». E lo dice con una espressione che sembra scolpita nella pietra, guardandoti negli occhi, senza il minimo sorriso.

Yaya è un ragazzone del Gambia cresciuto molto in fretta, come tutti quelli che nascono a quelle latitudini, con la miseria tra le dotazioni di serie. È da tre anni a Sassari, vive nel centro di accoglienza dell’ex Hotel Toluca e spera tanto di non ritornare mai al suo paese: «Non ho più nessuno. Mia madre è morta quando ero piccolo, ho perso mio padre in mare, i miei fratelli sono scappati in Senegal e anche io sono dovuto fuggire: se rientro in Gambia finisco in prigione».

Domenica mattina passeggiava in bici vicino alla Rotonda di Platamona. Si era fermato a guardare la spiaggia. «Ho visto una coppia che faceva il bagno. Non appena si sono immersi, un uomo si è avvicinato al loro asciugamano e ha infilato le mani dentro la borsetta. Ha preso i portafogli e li ha nascosti nel suo zaino. Poi si è allontanato a passo svelto».

«Ho cercato di sbracciarmi, di fare segni muovendo le mani in modo da attirare l’attenzione della coppia. Ma non mi vedevano. Allora ho deciso di inseguire il ladro».

«Mentre lo rincorrevo lui gridava: non ho fatto niente, cosa vuoi? E io: hai rubato i portafogli, fermati». La fuga dura giusto trenta metri, dopodiché il ladro di mezza età capisce che contro lo sprint di un ventiquattrenne c’è poco da insistere. Decide di affrontarlo. «Mi ha afferrato per la maglietta all’altezza del petto, mi ha detto: vattene, io non ho rubato nulla. E io: apri lo zainetto, ti ho visto. Lui stringeva la presa e allora gli ho piantato l’avambraccio contro il suo collo, e l’ho spinto con forza contro un’auto. Ha provato a divincolarsi, ma non è riuscito a muovere un dito». Ha realizzato che contro un armadio a due ante fatto in Gambia, con una risolutezza nello sguardo che non tradisce la minima paura, c’era poco da trattare. Qualche istante dopo sono intervenuti gli agenti della polizia locale di Sassari in servizio nel tratto di litorale di Platamona. «Ho detto ai vigili: è un ladro, ha rubato i portafogli. Guardate dentro il suo zainetto». E infatti spunta fuori la refurtiva. Il pregiudicato di Sorso, 50 anni, è stato accompagnato al comando di via Carlo Felice.

Yaya non si sente un eroe, nè particolarmente coraggioso. Fa spallucce, ordinaria amministrazione, l’avrebbe rifatto 1000 volte. Il senso civico attecchisce in ogni parte del mondo. Non si aspetta elogi e ricompense. Vorrebbe solo un punto di approdo per la sua esistenza in perenne movimento. «Sono rimasto orfano da bambino, mi ha adottato mio zio. Lavoravo con lui, coltivavo un terreno. Un giorno abbiamo sfalciato l’erba e l’abbiamo bruciata. Ma il fuoco è divampato, non siamo riusciti a spegnerlo, e ha devastato una foresta di proprietà statale. Siamo finiti in carcere. Poi ci hanno liberato in attesa di processo. Ma mio zio, che sapeva che la colpa dell’accaduto non era mia, mi ha detto che a 16 anni ero troppo giovane per finire in galera. Scappa! Mi ha consigliato. E io l’ho ascoltato. Sono andato in Senegal, poi in Burkina Faso, poi ho attraversato il Niger e sono arrivato in Libia, da lì ho tentato di raggiungere Tripoli, ma sono stato catturato e derubato da un banda di sequestratori. Sono riuscito a scappare, rischiando la vita, ho lavorato per un anno per guadagnare i soldi per la traversata. Infine sono approdato a Cagliari, e poi mi hanno trasferito a Sassari. Ora vorrei solamente ottenere la protezione internazionale, che aspetto da tre anni». Il destino di Yaya è appeso a quel foglio di carta.

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