La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, c’è una inchiesta per la morte del clochard nella fontana delle Conce

di Gianni Bazzoni
Sassari, c’è una inchiesta per la morte del clochard nella fontana delle Conce

Il romeno di 53 anni si era rifugiato per ripararsi dal violento nubifragio

25 settembre 2020
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SASSARI. Si chiamava Ion Prisecaru, era nato in Romania nel 1967. A Sassari chi lo conosceva lo chiamava con un nome italiano: Giovanni. Per convenienza, per familiarità, forse anche per un segno di quella integrazione forzata che a volte porta a rimuovere anche le radici. E Ion non se n’era mai lamentato, per lui Giovanni andava bene. Quando è morto mercoledì notte in quel fiume d’acqua che ha invaso la fontana delle Conce, dove aveva sistemato il suo letto fatto di stracci e vecchi indumenti, per ore è stato “un romeno di 53 anni”. Un numero, un caduto nella guerra quotidiana dell’indifferenza che rende l’esercito di disperati tutti uguali. Ion si era addormentato l’altra notte mentre Sassari galleggiava, i cassonetti dei rifiuti si muovevano da una parte all’altra come su una pista di ghiaccio. E i tombini saltavano per aria portandosi dietro pezzi di strade e lasciando buche pericolose che cittadini volenterosi hanno provveduto a recintare utilizzando i bidoni dei rifiuti come transenne. Quando si è svegliato di colpo ha solo intuito il pericolo: c’era acqua dappertutto, ha provato a tirarsi su, a mettersi in salvo. Ma non è mai facile quando sei solo, al buio, in condizioni di salute precarie. E scivoli, non capisci, non ce la fai. Poi, quando arriva una mano d’aiuto si accende la speranza: vedi i lampeggianti blu e le tute arancioni, il medico che ci prova e ci riprova insieme agli infermieri. La fine della storia dipende da tante variabili, spesso quasi tutte negative. E Ion-Giovanni non ce l’ha fatta. É morto in una città moderna in una sera di emergenza perché pioveva tanto. E le strade si allagavano perché i tombini non funzionano, perchè magari certi lavori vengono fatti con le pendenze sbagliate. E perché chi non ha una famiglia e una casa non dovrebbe dormire nel lavatoio di una fontana, un luogo storico segno di accoglienza e non di disperazione e morte.

Non lo sapeva Ion che quell’angolo di mondo fuori città poteva essere pericoloso. Ha pensato che una tettoia potesse bastare per ripararsi dalla pioggia e aspettare - dopo una bella dormita - il ritorno del sole. In fondo chi ha perso tutto è abituato ad apprezzare il poco che equivale al niente. Invece è morto così Ion e non saprà mai che c’è almeno una persona che fino all’ultimo ha sperato che continuasse a vivere. Che potesse vincere la battaglia, quella più difficile. Chi gli ha teso la mano ha creduto di essere arrivato all’ultimo momento ma in tempo per salvargli la vita.

Quella ambientata nella fontana delle Conce - monumento storico ma dimenticato, inutile dire che è tutto a posto perché non è vero - è una storia triste. La magistratura ha aperto un fascicolo e il sostituto procuratore Angelo Beccu sta valutando gli atti e il rapporto della polizia prima di assumere una decisione. Il corpo di Ion-Giovanni è stato trasferito all’Istituto di Patologia forense dove - se prevista - il medico legale nelle prossime ore effettuerà l’autopsia. Per la prima volta dopo tanto tempo Ion è entrato in un posto con la porta e un tetto. Non serve più, perché quello è un posto dove non può vedere e sentire. La sua morte però può aprire uno squarcio nell’indifferenza, in quella melma che contamina e che fa emergere ancora differenza tra morti di serie A e di serie B. Ion forse non aveva neppure categoria, era di quelli “fuori gioco”, ai margini. Come ce ne sono tanti altri. Se ora si accenderà una luce, la sua morte sul fronte degli ultimi non sarà stata inutile.

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