La Nuova Sardegna

Sassari

Segregata in casa, al buio e bastonata: marito a processo a Sassari

Nadia Cossu
Segregata in casa, al buio e bastonata: marito a processo a Sassari

La moglie era malata e lui le avrebbe nascosto le medicine. Le accuse: tentato omicidio, lesioni, sequestro di persona 

07 novembre 2020
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SASSARI. Sono accuse pesantissime quelle a carico di un 76enne finito a processo per reati che vanno dal tentato omicidio ai maltrattamenti, dalle lesioni al sequestro di persona. La presunta vittima dei comportamenti violenti sarebbe la moglie 68enne dell’imputato. Una donna invalida civile al 100 per cento, con gravi difficoltà di deambulazione.

La ricostruzione di questo rapporto coniugale fatto di aggressioni fisiche e verbali, di minacce, percosse, sevizie e crudeltà di ogni genere – che la Procura ha riportato nero su bianco nella richiesta di rinvio a giudizio – è raccapricciante. Secondo le accuse il marito in una circostanza avrebbe anche segregato in casa la moglie per una settimana, alcune volte dentro la camera da letto delle figlie con la porta chiusa a chiave per impedirle di uscire e chiedere aiuto. Per lo stesso motivo le prendeva anche il telefonino e le proibiva di usarlo «se non sotto il suo stretto controllo visivo, impedendole di alzare le serrande avvolgibili e di aprire la finestra e gridare aiuto (...)». E poi ci sarebbero «calci, pugni, bastonate» medicine nascoste per fare in modo che non potesse curarsi e quindi con l’intento, secondo la Procura, di «causare la morte della consorte».

Ora questa storia è finita davanti al giudice monocratico Salvatore Marinaro che avrà il compito di stabilire se le accuse a carico dell’imputato, difeso dall’avvocato Stefano Carboni, siano o meno fondate. La donna è parte civile con l’avvocato Vittorio Marrocu.

I presunti maltrattamenti sarebbero cominciati dopo che una delle figlie della coppia si era sposata ed era andata via di casa. Prima le ingiurie: “Sei un’handicappata”, “sei mancante”, poi le spinte «per farla cadere a terra e sbattendola contro il divano, provocandole intenso dolore» scriveva il pm. Una volta, nel 2016, «a seguito dell’ennesima spinta con cui l’aveva fatta cadere rompendole il labbro sinistro, aveva indotto la moglie a togliersi la vita per la disperazione ingerendo dei medicinali, intimandole prima del ricovero in ospedale di dire che la colpa non era sua (dell’imputato ndc) ma della figlia, minacciandola con questa espressione: “non dire nulla e non dire che l’ho fatto io altrimenti ti uccido».

Terribili anche gli episodi legati all’imputazione di sequestro di persona. La 68enne sarebbe infatti rimasta chiusa in casa per sette giorni e a chi chiedeva notizie al marito lui rispondeva che stava male o che dormiva. Aggiunge il pubblico ministero: «Lasciandola al buio tutto il giorno, costringendola a rifugiarsi nella cantina per sfuggire alla sua furia. Qui la donna rimaneva al freddo per ore». Le violenze sarebbero state frequenti: «La picchiava a ogni ora – si legge ancora nella richiesta di rinvio a giudizio – anche trenta volte al giorno, con pugni alla testa e al corpo, anche usando il bastone con il quale lei si aiutava per camminare, gridandole al contempo “ti ammazzo, ti ammazzo”». E quest’ultima aggressione sarebbe avvenuta perché la donna «aveva aperto la finestra gridando “aiuto, chiamate i carabinieri che mi sta sequestrando”».

La difesa sostiene – convinzione che sarebbe in parte supportata da una perizia – che la 68enne fosse affetta da una grave demenza che potrebbe aver provocato in lei una visione distorta della realtà.

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