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Sassari, «A 66 anni senza lavoro in fila per pane e pasta»

Luca Fiori
Sassari, «A 66 anni senza lavoro in fila per pane e pasta»

Carpentiere con trent’anni di esperienza, da otto non ha più un contratto. La prima volta in fila per il cibo è stata dura: «Poi la fame fa passare la vergogna»

20 novembre 2020
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SASSARI. «La prima volta che mi sono messo in fila mi vergognavo da morire. All’inizio mi camuffavo per non farmi riconoscere, tenevo la testa bassa e non parlavo con nessuno. Poi ci ho fatto l’abitudine. La fame ti toglie ogni pensiero e ti fa passare anche la vergogna».

La fila è quella per il sacchetto di generi alimentari che da quindici anni a questa parte la Casa della fraterna solidarietà distribuisce ogni mattina nella sede di corso Margherita di Savoia a chiunque bussi al cancello e tenda la mano. A nessuno viene chiesto chi sei o quanti soldi hai dichiarato l’anno precedente.

Ad aver vinto la vergogna, non avendo alternative, è un uomo di 66 anni, un sassarese che per 32 ha fatto il carpentiere e dal 2012 si è ritrovato da un giorno all’altro senza lavoro. Una moglie e tre figli, di cui due ancora a casa, l’operaio non ha più trovato occupazione nei cantieri edili e con il passare del tempo anche strappare un contratto di poche settimane è stato sempre più complicato.

«Quando ti presenti a un’impresa alla mia età – spiega il 66enne – della tua esperienza e competenza non interessa a nessuno. Ti guardano storto e ti dicono che sei troppo grande e che per te non c’è posto».

Così, quando diventa difficile anche fare qualche lavoretto in nero, ma le spese familiari devono essere comunque pagate tutti i mesi, può capitare di ritrovarsi una mattina a dover mettere da parte il pudore e attendere in mezzo a tante altre anime disperate il proprio turno per ricevere tra le mani un sacchetto che risolverà il pranzo di tutta la famiglia.

«Non avevo alternative – spiega il carpentiere – ma ora ci ho fatto l’abitudine. Mi sento ancora giovane e vorrei lavorare, ma senza questo aiuto quotidiano non so proprio come farei».

Durante il lockdown, quando la crisi è andata a bussare anche a indirizzi fino a quel momento sconosciuti, il numero degli aiuti quotidiani in città è quasi raddoppiato. Nei mesi in cui in tanti sono rimasti improvvisamente senza occupazione si è passati da 250 e 400 sacchetti distribuiti ogni mattina.

Da quel momento per evitare assembramenti il lungo serpentone umano che attendeva ammassato l’apertura del cancello della onlus fondata da Aldo Meloni è sparito. La consegna del cibo e di alcuni generi di prima necessità ora avviene dalle 7.30 alle 9.30 del mattino. Chi ha bisogno in questo modo evita anche l’imbarazzo e in pochi secondi va via con il pranzo. «Io lavoravo nei cantieri – racconta il 66enne – e stavo bene e infatti sono riuscito fortunatamente a comprare la casa in cui vivo. L’ultimo contratto l’ho avuto con l’impresa che ha realizzato il carcere di Bancali – prosegue – poi nel 2012 quando l’opera è stata completata mi hanno mandato a casa e da quel momento è iniziato il dramma». Prima di arrivare a tendere la mano il carpentiere ha provato in tutti i modi a rientrare nel mondo del lavoro, ma ho trovato solo porte chiuse.

«Alla fine ho dovuto chiedere aiuto – ammette – e quando le prime volte mi sono ritrovato in mezzo a tante persone disperate mi chiedevo cosa ci facessi e perché fossi finito a dover ricevere l’elemosina. Poi ho iniziato a conoscere le storie degli altri e ho visto che quello che è capitato a me può succedere a chiunque. Tra un anno spero di poter presentare la domanda per la pensione – conclude il 66enne – sarà piccola, ma forse mi consentirà di non dover più chiedere aiuto».

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