La Nuova Sardegna

Sassari

Monsignor Paolo Carta e la santità di Padre Pio

di Mario Girau
Monsignor Paolo Carta e la santità di Padre Pio

Perorò dal Papa la causa di beatificazione. E nell’82, prima di lasciare Sassari...

21 giugno 2022
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SASSARI. Quarant’anni fa il vescovo che voleva uscire in punta di piedi per non disturbare la diocesi, rumore riesce a farne, anche molto. Il 2 giugno 1982, cinque giorni prima di lasciare, dopo 20 anni, Sassari definitivamente, monsignor Paolo Carta, con un gesto definito “storico” affida a padre Salvatore Morittu, pioniere della lotta contro la droga in Sardegna, la tenuta di S’Aspru, 13 ettari di terra coltivabile, nel comune di Siligo, per fondarvi una comunità.

Per una particolare legge del contrappasso applicata agli alti prelati, monsignor Paolo Carta (45.mo della serie degli arcivescovi di Sassari iniziata con Antonino Cano nel 1448), che voleva incarnare l’ideale della misura e della moderazione episcopale, si è poi trovato al centro della ribalta ecclesiale. Fin da giovane. Fresco di laurea in economia e commercio, a 24 anni, a sorpresa, entra in seminario: nel 1935 l’ordinazione sacerdotale. Profondamente pacifista, fa il cappellano militare per 18 anni, per 4 mesi anche in Spagna, soltanto per parlare di Gesù e distribuire tra i soldati migliaia di medagliette con l’immagine della «Madonna Miracolosa». A Orgosolo è chiamato a preparare spiritualmente la popolazione alle “paci” del 1953.

Don Carta è nato per portare con entusiasmo la buona novella. Nel primo messaggio alla Chiesa turritana, dove fa l’ingresso ufficiale il 15 aprile 1962 (presente anche il ministro degli Esteri Antonio Segni, il 6 maggio successivo eletto Presidente della Repubblica), scrive: «Come capisaldi di spiritualità vi addito le due sorgenti inesauribili di energia spirituale e di perseveranza nel bene: la devozione al Sacro Cuore di Gesù e la devozione al Cuore Immacolato di Maria».

Ma le sorprese vaticane lo mettono a capo delle diocesi. Da qualche mese alla guida della sua prima Chiesa, si confida con padre Pio da Pietrelcina, della cui beatificazione sarà uno dei principali sostenitori. «A Foggia, Padre, sto sperimentando come è difficile il governo pastorale». Il futuro San Pio cerca di consolarlo: «Padre mio, è difficile, sì, perché se stringe, strillano, e se allarga, ne abusano».

A Sassari è “luna di miele” fino al 1966 . «I miei 20 anni di governo pastorale hanno abbracciato i 4 del Concilio; e 16 anni del post Concilio che non furono facili», dirà Carta nella sua autobiografia. Dopo 4 anni di “formazione” nelle aule del Vaticano II (non perde una seduta), Carta ritorna a tempo pieno nella cattedrale di San Nicola. In effetti, le varie forme di crisi esplose nella Chiesa si ripercuotono anche all'interno della diocesi sassarese condizionando i rapporti, non sempre idilliaci, tra i preti. Emotivo e, qualche volta, impulsivo, mons. Carta non riesce a controllare le reazioni spontanee, creando sconcerto in quanti di lui conoscono il lato buono e caritatevole. Situazioni ed episodi che deprimono l'arcivescovo di Sassari fino al punto da presentare le dimissioni al Papa. Nel gennaio del 1971 confessa i propri difetti in una lettera a Paolo VI, chiedendo di essere sollevato dall’incarico. Dimissioni respinte.

Per evitare polemiche, l’Arcivescovo cerca di ridurre al minimo gli interventi. Perciò passa per uomo debole, senza polso. Invece è soltanto un sentimentale.«Monsignor Paolo Carta – dice Pietro Meloni vescovo emerito di Nuoro, conoscitore come pochi dell’arcivescovo che nel 1968 di lui, professore universitario, fa anche un prete – era un grande uomo col cuore di un bambino. Per questo si faceva chiamare familiarmente don Paolo, ed ebbe una moltitudine immensa di amici».

Salvatore Fiori da ex sacerdote delinea così il carattere di monsignor Carta: «Era, sì, un timido, ma di una timidezza evangelica. Fatta di paura di offendere Dio, ma anche di rompere col prossimo». La modestia porta l’arcivescovo Carta a minimizzare il lavoro svolto a Sassari. « Un giorno egli disse – riferisce Aldo Cesaraccio - che almeno di due cose sarebbe stato soddisfatto alla fine del suo mandato: l’aver chiamato a Sassari i salesiani (che nel Latte Dolce e a San Giorgio hanno compiuto opere sociali di un’imponenza tale da meritare l’orgoglio dei sassaresi) e l’aver propagato il culto del Sacro Cuore, nel cui nome ha ottenuto che proprio a Sassari sorgesse la prima basilica del territorio metropolitano, dopo quella veneranda di Torres».

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