La Nuova Sardegna

Sassari

Il ricordo

Arturo Parisi: «Luigi Berlinguer era un comunista riformatore che amava parlare in sassarese»

di Alessandro Pirina
Arturo Parisi: «Luigi Berlinguer era un comunista riformatore che amava parlare in sassarese»

«Soffrì per gli attacchi sindacali alla sua rivoluzione della scuola»

03 novembre 2023
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Sassari La formazione politica li divideva, e anche l’età, ma le strade su cui sono cresciuti sono le stesse. E più avanti si ritroveranno anche sulla stessa strada politica, l’Ulivo di Romano Prodi. Di quella stagione, la più entusiasmante di sempre per il centrosinistra italiano, Arturo Parisi fu l’ideologo. Un cocktail di sinistra e cattolicesimo democratico che si rivelò vincente e portò al governo guidato da Prodi solo personalità di spicco: Ciampi, Napolitano - e dunque due futuri presidenti della Repubblica -, Flick, Andreatta, Bassanini, Bindi, Veltroni, Bersani, Visco, Turco, Finocchiaro. E appunto Luigi Berlinguer, già parlamentare dilungo corso - ma anche consigliere provinciale di Sassari, sindaco di Sennori, consigliere regionale in Toscana - e rettore dell’università di Siena, che fu nominato ministro della Pubblica istruzione e della Università.

Professor Parisi, il suo primo ricordo di Luigi Berlinguer?
«Diciamo il primo ricordo politico, e immediatamente ne sorrido, se penso che era un incontro tra uno non ancora undicenne che si apprestava ad andare in seconda media, e lui, lo ricalcolo ora, che da poco diciannovenne era già all’Università. Era l’estate del ‘51. Immagini: settantadue anni fa. Nelle mie esplorazioni infinite attorno a casa, attratto da tutti gli eventi “a gratis”, ero finito alla festa dell’Unità, forse tra le prime a Sassari, che si teneva al campo della ex Gil, la Gioventù Italiana del Littorio, l’antica Piazza d’Armi della città. Lui, allora dirigente della Federazione Giovanile Comunista, intercettò la mia curiosità allo stand della Associazione Pionieri Italiani, l’organizzazione appena fondata dal Pci per i ragazzi. Cominciò così per qualche mese una frequentazione della quale ricordo appena alcune “chiacchiere” su temi genericamente politici a partire dalla lettura de “Il Pioniere”, il settimanale animato da Gianni Rodari che l’Api diffondeva in concorrenza con “Il Vittorioso”, il mitico giornale con i fumetti di Jacovitti, il settimanale della Gioventù di Azione Cattolica. Poi ci perdemmo separati dal muro che anche a uno di confine come me sembrò già allora arduo da superare: la religione, e la Russia».

Comunista, riformista, democratico: quale termine userebbe per definire il Berlinguer politico?
«Un comunista riformatore. Comunista perché non ricordo che, almeno fino a quando ci siamo frequentati, abbia mai abiurato alla sua fede di comunista. Il Pci era stato per lui una scuola di vita, e, averne fatto parte era a suo parere per ogni quadro politico una garanzia di serietà non altrettanto reperibile in altri partiti. Ricordo ancora un lontano incontro del periodo che ci vide assieme al governo nel quale non riusciva a nascondere la nostalgia nonostante il partito avesse ammainato la sua antica bandiera. Riformatore perché interessato ai cambiamenti oggettivi piuttosto che a quel generico atteggiamento che dietro il termine “riformista” vorrebbe alludere all’abbandono della tensione rivoluzionaria. Come dimenticare peraltro nel suo curriculum le “tesi sulla scuola” scritte con Rossana Rossanda nel 1970 sul mensile il Manifesto?».

Insieme siete stati protagonisti dell’Ulivo di Romano Prodi: quale fu il suo apporto a quella stagione unica per il centrosinistra italiano?
«Fondamentale. Penso agli incontri del lungo anno di gestazione del progetto che precedette il varo del governo per l’elaborazione delle 88 tesi del programma la cui redazione seguii personalmente a Bologna. E ancor di più agli anni indimenticabili al governo. Agli incontri quasi settimanali a Palazzo Chigi: alla ossessione puntigliosa con cui seguiva la nascita della sua riforma destinata a portare il suo nome. Una “rivoluzione gentile” comparabile per l’ambizione che la guidava alla Riforma Gentile».

Quali sono stati gli aspetti più importanti della sua riforma?
«A mio parere il riordino dei cicli scolastici, e il superamento della identificazione tra scuola pubblica e scuola statale».

Berlinguer soffriva per le critiche alla sua riforma che venivano da quello che era il suo mondo, la scuola e l’università?
«Ricorda bene. E chi non ne avrebbe sofferto? Fu innanzitutto dal mondo sindacale che gli vennero le incomprensioni più amare e gli attacchi più duri».

Dopo Prodi, Berlinguer fu confermato da D’Alema, ma, dopo la sconfitta delle regionali del 2000, insieme a Rosy Bindi fu sacrificato e sostituito. Soffrì per questa decisione del suo partito?
«Non ho ne un ricordo personale diretto. Ma non ho dubbi che sia stata per lui causa di grande sofferenza. Soprattutto perché era difficile non riconoscere in quella esclusione più che il desiderio di un ricambio nel personale di governo quasi una sconfessione di una parte del lavoro svolto, e la presa di distanza da quella fase come premessa di un suo superamento».

Berlinguer viveva da 50 anni a Siena, ma era sempre forte il legame con la Sardegna. In cosa consisteva la sua sassaresità che amava sempre sottolineare?
«Del tempo del governo mi basta ricordare l’affettuosa insistenza perché tra noi parlassimo in sassarese: per rinnovare la nostra solidarietà riandando ai suoni della “pizzinnia”. Un sassarese che sulle sue labbra ricordava i comizi del dopoguerra in dialetto di Piazza di Porta Sant’Antonio o quelli di Piazza Demolizioni della mia adolescenza. Un sassarese ricco e forbito che mi costringeva ad arrancargli dietro nonostante gli “stages” intensivi dei campi estivi sul Limbara della Gioventù di Azione Cattolica alla scuola di Giovanni Enna, il cantore della vecchia Sassari, coetaneo peraltro di Luigi».

Il suo ultimo ricordo di Luigi Berlinguer?
«Una lunga serata estiva a Castelsardo dopo un dibattito al Castello dei Doria, a parlare fino a tardi del passato ma come sempre ancora più del futuro che in quel momento si chiamava per lui: educazione musicale nelle scuole».

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