La Nuova Sardegna

Sassari

Crisi idrica

Carciofaie decimate dalla siccità, le aziende chiudono e i giovani vanno via

di Giovanni Bua
Carciofaie decimate dalla siccità, le aziende chiudono e i giovani vanno via

Allarmante la situazione nel Coros. Intorno al bacino del Cuga si è passati da 200 a 25 ettari coltivati

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Sassari Mentre parla al cellulare Roberto Simula sta guidando un camion che porta carciofi (di Oristano) da Parma a Bergamo. La sua nuova vita è iniziata due anni fa, quando ha dovuto mollare l’azienda che portava avanti con il figlio. Dieci ettari poi diventati cinque, dove coltivava il meraviglioso carciofo spinoso. E che ora sono incolti come l’ottanta per cento dei duecento ettari nell’agro di Uri che per decenni hanno dato da mangiare a un centinaio di famiglie, creando un “distretto” vocato alla produzione di un prodotto di eccellenza conosciuto nel mondo.

La storia «Ho tra le mani un documento del settecento a cui ai barracelli veniva dato ordine di vigilare sulle carciofaie – racconta il sindaco di Uri, Matteo Dettori – a dimostrazione di quanto la nostra vocazione è antica e radicata». Mentre ripercorre la storia secolare del suo paese il telefono non smette di squillare. D’altronde il fine settimana in arrivo è tra i più importanti dell’anno, e ci sono da limare gli ultimi dettagli della trentatreesima edizione della Sagra del carciofo, anche se gli spinosi di Uri che verranno distribuiti ai tantissimi che come sempre prenderanno d’assalto il paese del Coros saranno ben pochi. «Gli ettari coltivati ormai sono 20-25, per gran parte da imprenditori di Ittiri e da qualcuno dei pochi hobbisti rimasti - spiega il sindaco – e purtroppo il declino sembra inarrestabile, anche se noi, come amministrazione e come territorio, non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci».

La resa «Io ho dovuto abbandonare – spiega Simula – nonostante la mia fosse un’azienda all’avanguardia. Grazie alla partecipazione a un progetto comunitario infatti l’irrigazione, che è uno dei costi più importanti da sostenere, era gestita completamente dal fotovoltaico. Questo ha consentito alla nostra azienda di vedere un barlume di speranza, ha solo però prolungato l’agonia perché nel mentre sono aumentati costi di gestione concime, lavorazioni, l’acqua da “pompare” nelle campagne è diventata sempre meno, il mercato è stato invaso da altre varietà di carciofo, più semplici ed economiche da coltivare, anche se infinitamente meno buone. Chi aveva la possibilità di mollare tutto lo ha fatto, io a malincuore sono uno di quelli».

I problemi Chi invece non molla è il gruppo di coltivatori ittiresi che lavora la gran parte degli ettari intorno allo spettrale bacino del Cuga. Decidono di fissare un appuntamento tutti insieme, perché nessuno si sente di parlare per gli altri, e le parole vanno pesate con cura in un momento in cui servono aiuti e non nuovi nemici. «I problemi sono noti, e sono sempre gli stessi – spiegano Luigi Lupino, Tore Sanna, Vincenzo Orani e Francesco Virdis – la scarsità d’acqua e i costi di elettricità o gasolio per pomparli nelle campagne. Davvero paradossale visto che per costruire la diga del Cuga furono espropriati i nostri migliori terreni, e di fatto noi siamo l’unico territorio che di quella diga non beneficia».

La diga Ed effettivamente il bacino, voluto da Segni all’interno della sua riforma agraria, e realizzato dall’Etfas tra il 1956 e il 1974, non è collegato con l’agro di Uri, di fatto unico comparto a non avere una rete consortile. Prevista nel progetto iniziale insieme alla realizzazione di una vasca di raccolta nel territorio di Ittiri, entrambe mai realizzate.

I reflui Ci sarebbero i reflui di Sassari. Sono 11 milioni di metri cubi l’anno. Le strutture per usarli sono pronte del 2012 e collaudate dal 2015, ma mai messe in funzione. In dieci anni si sarebbero accumulati 100 milioni di metri cubi. L’anno scorso, in piena emergenza, si è arrivati a un passo nel definire il piano di gestione. Poi è arrivata la pioggia e non se ne è parlato più».

L’assessore «La vertenza sulle infrastrutture è la principale da portare avanti – sottolinea l’assessore all’agricoltura del Comune di Uri, l’agronomo Francesco Murru– in otto anni di amministrazione siamo andati già a più riprese in Regione. I progetti ci sono ma non partono mai. Come il piano di utilizzo dei reflui, fondamentale ma da fare senza che questo declassi il bacino. Bisognerebbe fare un collegamento a valle del lago con la costruzione di un vascone di premiscelamento. Ma mentre si discute le campagne si spopolano, i ragazzi fuggono, si moltiplicano i problemi economici e sociali ma banalmente anche quelli del controllo del territorio. Campagna abbandonate significa strade abbandonate, poca pulizia, maggiore rischio incendi».

Acqua senza acqua La mancanza di acqua nei terreni intorno all’acqua è diventata ancora più paradossale con il passaggio di competenze della gestione delle dighe, deciso e attuato tra il 2006 e il 2008 con la legge regionale 19, tra i consorzi di bonifiche ed Enas. «Quando gestivamo noi – racconta il presidente del consorzio di Bonifica della Nurra Gavino Zirattu – davamo una sorta di autorizzazione agli agricoltori al pescaggio dell’acqua dal Cuga, che loro facevano con autopompe e tubazioni. Ora quell’autorizzazione non esiste più. Nessuno lo nega ma nessuno lo consente, soprattutto con il peggioramento dell’emergenza idrica e l’uso delle risorse del Cuga a fini idropotabili. Chi prende l’acqua dal Cuga insomma lo fa in una sorta di “zona grigia” che non gli permette di accedere a facilitazioni di alcun tipo».

Insostenibile Tolta l’iva insomma, chi mette in campo le motopompe elettriche o a gasolio per pompare acqua nelle campagne paga tutto a prezzo pieno. Risultato: «Se un ettaro di carciofaia ha una resa di 10-12 mila euro a stagione i costi sono tra gli 8 e 10mila euro, senza contare imprevisti, usura e rottura dei mezzi, pezzi di ricambio – racconta il gruppo di coltivatori ittiresi – E’ evidente che chi va avanti lo fa solo per preservare un’azienda che magari ha decessi di storia, che gli è stata consegnata dal padre. Ma che non ha nessuna speranza di passarla ai propri figli. Di fatto, se le cose non cambiano, saremo l’ultima generazione che coltiverà carciofi nel Coros, e temo che non sarà l’unica coltura o industria a scomparire».

Resistenza Il danno sarebbe irreparabile, e per questo la sagra di questo fine settimana, oltre al suo indiscutibile valore culturale, ricreativo, gastronomico, ha un potente valore politico. «Abbiamo invitato tutti i comuni che come noi hanno storiche sagre del carciofo – spiega il sindaco Dettori – per cementare la rete dei produttori, che già da tempo sta andando oltre le divisioni di campanile. Lunedì saremo in Regione convocati insieme ad altri 27 dalla presidente Todde per affrontare il discorso sulla crisi idrica. Non abbiamo intenzione di lamentarci, anche se la drammatica situazione è evidente, ma di chiedere e offrire soluzioni. Il comparto del carciofo è un’eccellenza che deve rinascere, e le sue difficoltà sono esemplari e riguardano la vocazione agricola del Coros, dell’intera Nurra che non può essere dispersa».

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