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Pizze e padel, la scommessa di Vanuzzo

di Andrea Sini
Pizze e padel, la scommessa di Vanuzzo

A 45 anni l’ex capitano della Dinamo riparte dalla gestione di un centro sportivo

16 marzo 2020
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SASSARI. Il nome che per oltre due decenni è stato una presenza fissa nei tabellini di serie A e Legadue, compare nella pagina a destra in fondo al menù. La pizza Vanuzzo, specialità della casa con un insolito mix di sardine e cipolla, all’interno del locale è uno dei rari richiami all’identità di questo ragazzone di oltre due metri che salta con disinvoltura dal banco del bar ai tavolini, dal giardino ai campi da tennis e da padel.

Una nuova scommessa. La terza vita di Manuel Vanuzzo, la prima senza un pallone da basket in mano, ha sullo sfondo un centro sportivo con annesso ristorante-pizzeria nell’immediata periferia di Sassari, la città che lo ha adottato e che lui ha scelto. Lo Sporting Milano 26 è da qualche mese la nuova tana dell’ex giocatore della Dinamo. Sulla soglia dei 45 anni, il leggendario capitano dello scudetto biancoblù si è messo in proprio, prendendo in gestione la struttura insieme a un socio. Ora si occupa un po’ di tutto, dalla cura degli impianti sportivi all’organizzazione degli eventi di intrattenimento. Senza disdegnare il lavoro dietro il bancone. «Quasi quasi è più faticoso di allenarsi a pieno ritmo in una squadra professionistica – sorride l’ex numero del Banco di Sardegna, che in questi giorni di emergenza ha ovviamente chiuso i battenti –. Si tratta di una struttura importante, oltre la parte dedicata alla ristorazione c’è un’area esterna molto grande, tre campi di calcio a cinque, quattro da tennis, uno dei quali attrezzato anche per basket e volley, due per il padel, che presto saranno tre».

Tutti pazzi per il padel. La moderna variante del tennis negli ultimi anni ha conquistato un numero sempre maggiore di sportivi, e Vanuzzo è tra questi, con lo Sporting che è diventato il punto di riferimento principale a livello cittadino. «Già oggi abbiamo una cinquantina di appassionati di padel che vengono regolarmente a giocare da noi – racconta –. Abbiamo avviato l’iter per l’affiliazione alla Fit e appena sarà possibile partiranno le attività con gli istruttori: saranno attive squadre maschili, femminili e giovanili. Proprio come Cagliari e Olbia, Sassari ha grosse potenzialità da sviluppare. Le mie abilità con la racchetta? Ho fatto un corso da istruttore, non sono un campione ma diciamo che me la cavo».

Una vita sul parquet. Nelle due vite precedenti Manuel Vanuzzo è stato sempre a stretto contatto con la palla a spicchi. Nella prima parte della sua carriera l’ala veneta, partita dal Petrarca Padova, ha indossato diverse maglie tra serie A e Legadue: tre stagioni a Montecatini, una a Messina, due con l’Olimpia Milano (con Attilio Caja in panchina), altre due con Novara. Poi nel 2006, a 31 anni e con tanta esperienza già alle spalle, la chiamata della famiglia Mele e l’arrivo a Sassari, insieme a un ventunenne di belle speranze che già conosce perché ai tempi di Milano era il giovane aggregato alla prima squadra: ha gambe esplosive ed è uno specialista della difesa: di nome fa Giacomo ma tutti lo chiamano Jack, di cognome fa Devecchi.

L’epopea biancoblù. La strana coppia lombardo-veneta, dieci anni di differenza e due caratteri non proprio simili, ancora non lo sa ma è destinata a diventare la spina dorsale della Dinamo dei grandi trionfi. Manuel fa parte della banda (perché di banda si trattava...) che evita la retrocessione in serie B all’ultima giornata di campionato ed eredita presto i gradi di capitano dal mostro sacro Emanuele Rotondo. In nove stagioni è tra i protagonisti dell’incredibile escalation del basket sassarese: nel 2010, con Meo Sacchetti in panchina, dopo la finale dei playoff contro Veroli Vanuzzo alza al cielo la coppa e brinda alla promozione nella massima serie. «È il momento più bello, per me – spiega Manu –, perché tutto quello che è arrivato dopo non sarebbe stato possibile senza quell’impresa. Come per tutte le altre vittorie successive, anche in quel caso non eravamo affatto i favoriti. Ed eravamo un gruppo davvero ingestibile...».

Coppe&coppe. Durante l’era Sardara è protagonista in serie A, nei playoff e nelle prime partecipazioni alle coppe europee, Eurolega compresa. Ancora oggi Travis Diener racconta come il momento più emozionante della sua esperienza sassarese la tripla sulla sirena segnata da Vanuzzo in gara3 a Bologna contro la Virtus. Arriva il biennio d’oro, 2014-2015: nel giro di 16 mesi il capitano solleva in aria due coppe Italia, una Supercoppa e uno scudetto. Poi l’addio alla Dinamo, le due stagioni con Udine (nelle quali fa in tempo a vincere il campionato di serie B) e la chiusura a Sestu con i Pirates. «Sono felice della mia carriera – aggiunge Vanuzzo –, quando abbiamo vinto la A2 onestamente non pensavo che a 31 anni e dopo 6 anni di assenza il mio livello fosse da serie A. Invece per fortuna è andata diversamente... Ho sempre detto che Travis Diener mi ha allungato la carriera e non è una battuta, è la verità. Il suo modo di giocare e la sua classe mi hanno permesso di fare lo specialista ai massimi livelli. E l’altro personaggio chiave per è stato Meo Sacchetti, che ha saputo gestirmi nel migliore dei modi. E dire che le cose con lui all’inizio non erano andate benissimo: io venivo da 2 anni con Cavina e Meo propose un basket completamente diverso, avanti di 10 anni rispetto a tutti gli altri, e non a caso è riuscito a vincere in due realtà dove prima non si era mai vinto nulla, come Sassari e Cremona. Lui ha grande facilità nel gestire i gruppi, vede certe dinamiche con grande facilità e sono contento che sia arrivato sino alla nazionale».

Tra minors e realtà. In tutto questo, a ormai cinque anni dall’addio alla Dinamo e a due dal ritiro, il basket non è stato affatto cancellato dalla sua vita. Anche quello giocato. Una volta la settimana indossa canotta e pantaloncini, allaccia le scarpe e scende in campo nel campionato di Promozione. E nel frattempo ha fatto esperienza, per due stagioni, anche come allenatore nel settore giovanile della Dinamo. «Ho guidato prima l’Under 18 e poi l’Under 15 – racconta –, sono felice di averlo fatto, sia perché mi sono divertito, sia perché ho capito che non sono esattamente tagliato per lavorare con i giovani: è una questione di carattere, per farlo servono un approccio e un tipo di carattere che io probabilmente non ho. Se un domani dovessi vedermi come allenatore, sarei sicuramente il coach di una squadra senior, in qualsiasi categoria».

Il vecchio amore. «La Dinamo? I rapporti con le persone sono quelli di sempre, vado alle partite tutte le volte che posso, mio figlio Thiago ha quasi 5 anni ed è già un grande tifoso. In questo momento sto portando avanti altri progetti, in particolare questo dello Sporting, ma non è detto che un domani le nostre strade non si incontrino nuovamente». Come vede la Dinamo di oggi? «Il lavoro di Gianmarco Pozzecco è sotto gli occhi di tutti – sottolinea –. Esprimono un bel basket, con diversi italiani tra i protagonisti e nell’ultimo anno sono riusciti a fare grandi cose. La società ha sempre alla guida sempre Stefano Sardara, che è una garanzia, ed è solida. Non so come andrà a finire dopo questa emergenza, se la stagione verrà conclusa oppure no, ma intanto anche per quest’anno è arrivato a Sassari un trofeo e la squadra è stata protagonista su tutti i fronti».

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