Jeff Brooks: «Il Triplete come un sogno, quella Dinamo mi ha reso uomo»
L’ala americana: «Che bello tornare a Sassari per la reunion del decennale»
Sassari «L’anno del Triplete è stato qualcosa di grande, sensazionale. Tornare a Sassari e ritrovare tutti compagni di viaggio è qualcosa di fantastico, non vedo l’ora». Jeff Brooks ha già fatto rotta verso l’isola. Facile, per l’ala del Kentucky, che dieci anni dopo quell’impresa gioca ancora nel campionato italiano e nel nostro Paese ha messo radici, sposando Benedetta. Il numero 21 della Dinamo 2014-’15 è arrivato in Sardegna, dove trascorrerà alcuni giorni di vacanza in attesa della grande reunion del 26 giugno organizzata dal club biancoblù.
«Da un certo punto di vista guardare indietro e rendersi conto che sono passati dieci anni è irreale – sorride Brooks, 36 anni, l’ultima stagione in serie A con Trieste –. Io sono rimasto a Sassari per una sola stagione, ma per me quello è stato un anno chiave da tutti punti di vista, l’anno in cui in qualche modo è cambiata la mia vita. È stato il primo anno in cui io e Benedetta siamo andati a vivere insieme e l’estate successiva ci saremmo sposati. A Sassari ho avuto l’opportunità di giocare in Eurolega, di avere come compagni di squadra giocatori come David Logan o Shane Lawal. Ho migliorato molto il mio Qi cestistico grazie a loro. Ero un giovane che iniziava a fare esperienza e ora sono un veterano. E poi ci sono state tante persone dentro e fuori dal club con le quali sono nati legami importanti e che ora sono felicissimo di poter rincontrare».
Nel suo anno a Sassari Jeff Brooks rischiò seriamente di dover interrompere la sua carriera. Invece... «Mi dovetti fermare per diverse settimane per un problema cardiaco – racconta –. Temevo di non poter più rientrare, invece per fortuna tutto si risolse senza strascichi dopo tantissimi controlli e monitoraggi. Ricordo ancora con piacere la vicinanza e l’affetto di tutto il mondo Dinamo in quei giorni difficili».
E poi ci sono state le vittorie. Tante e importanti. «Ci sono state anche tante sconfitte, durante la stagione – puntualizza l’ex giocatore di Jesi, Caserta, Cantù, Malaga, Saratov, Milano e Venezia –. Per esempio in Eurolega abbiamo fatto 1-9 e questo ci ha insegnato molto, quella lezione l’abbiamo poi messa in pratica durante la stagione. Eravamo un gruppo molto particolare, con tanto talento, tanti casinisti ma soprattutto tanta fame. È stata quella la chiave delle nostre vittorie: eravamo giovani con tanta voglia di emergere, di fare carriera, di imporci. E sapevamo che c’era bisogno di tutti».
Non da subito, in realtà, perché quel gruppo faticò non poco a trovare la quadra. Quale fu il momento chiave? «Verso la fine del 2014 prendemmo una scoppola in casa di Trento. Secondo me fu il momento più difficile in assoluto, perché non avevamo energia e ci misero sotto senza pietà. Un disastro. Quella settimana parlammo, ci confrontammo e ricominciammo a mettere insieme i pezzi. Anche perché avevamo già vinto la Supercoppa e poco dopo sarebbe arrivata anche la Coppa Italia. Avevamo un rendimento altalenante, ma quando c’era in ballo qualcosa di importante da vincere, come un trofeo, eravamo in grado di trasformarci. C’era davvero una mentalità vincente in quel gruppo».
Com’era Meo Sacchetti? «Il coach aveva un approccio che fece la differenza, un modo di allenare che allora sembrava così strano, nel dare grande libertà e fiducia ai giocatori, e che invece oggi è così normale. Era avanti».
Qual è il ricordo più nitido di quella folle annata? «La cosa che ho più chiara nella mente è l’impatto che avemmo sulla città di Sassari e sulla Sardegna. Alla festa per lo scudetto non si vedeva una sola mattonella di piazza d’Italia, perché c’era una folla immensa, e ricordo che rientrando a Sassari i tifosi ci fermavano sulla superstrada per festeggiare con noi. Anche per questo – conclude Brooks – sono felice di portare a Sassari con me mio figlio, è bellissimo fargli vedere i posti nei quali suo padre ha vissuto una tappa fondamentale della sua vita».