Michele Pazienza: «Stregato dal progetto Torres, abbiamo la stessa ambizione»
Il nuovo allenatore rossoblù si “confessa” per la prima volta: «Questa è una società importante e ha voglia di crescere gradualmente»
Sassari Dinamismo e spirito di sacrificio erano i suoi cavalli di battaglia da calciatore. Michele Pazienza, nuovo allenatore della Torres, era abile sia nella fase di contenimento che in quella offensiva.
Il tecnico di San Severo (provincia di Foggia), sposato con Lorenza e padre di due figli (Matias 16 anni, Rebecca 20, entrambi studenti) si racconta a ruota libera e fa subito capire quali sono le sue idee e come intende il calcio, ora vissuto dalla panchina.
Le sue impressioni dopo il primo impatto con la Torres?
«È stato di curiosità sia da parte mia e sia da parte di chi mi ha accolto e mi riferisco alla proprietà e alla dirigenza. Ho avuto la sensazione che ci fosse curiosità da ambo le parti. È positivo perché c'è voglia di iniziare un nuovo percorso insieme».
A Sassari è stata la prima volta?
«Si, mai stato in questa città».
E in Sardegna?
«Ho fatto vacanze al Forte Village a Pula e visitato diverse località turistiche della zona. Poi sono venuto diverse volte per giocare contro il Cagliari. In vacanza sono stato benissimo. Sassari ho voglia di scoprirla piano piano».
Lo sa che la Torres ha ottenuto grandi risultati quando ha avuto una squadra con diversi sardi? «Avere nella rosa delle persone del posto ti dà l'opportunità di far capire cosa significa senso di appartenenza. È chiaro che non può essere un vincolo, altrimenti non ha più quella funzione. Se avviene tutto in modo naturale può creare solo dei vantaggi. Ed è quello che voglio fare io. Il senso dio appartenenza, però, si trasmette attraverso gli atteggiamenti non solo con le parole».
Avere ambizione per lei è...
«Il sale dello sport. Non deve essere confusa con la presunzione. Ambizione è fare il meglio possibile con le risorse a disposizione. Da calciatore il mio obiettivo era quello di passare alla categoria superiore in modo graduale e una volta raggiunto scattava la voglia di migliorare. Porsi un altro obiettivo sempre è stimolante».
E da allenatore?
«Forse all’inizio ho fatto il passo più lungo della gamba. Mi spiego: lavoravo con le giovanili del Pisa e dopo due mesi sono stato catapultato in prima squadra. In quel momento non ero pronto per la serie C ai vertici. Perché? Consideravo solo l’aspetto del terreno di gioco e non tutto il resto dei rapporti».
Il più bel ricordo da calciatore?
«Sicuramente gli anni trascorsi a Napoli. Li ho vissuto meglio il mio lavoro perché mi sono sentito più protagonista. È una piazza che mi ha dato davvero tanto».
Il compagno di squadra a cui è più legato?
«Uno in particolare è Leandro Rinaudo, che ora fa il direttore sportivo. Con lui il rapporto è speciale. Abbiamo giocato insieme a Napoli, ci siamo poi ritrovati a Vicenza e abbiamo approfondito la conoscenza. Ci siamo sempre capiti al volo».
Un aneddoto da spogliatoio?
«La mia testa va sempre al Napoli e gli episodi sono tanti. Una cosa che mi rimprovero quando nella fase iniziale di una stagione le cose non andavano bene e il direttore Pierpaolo Marino parlava alla squadra, ci rimproverava. A Napoli mi aveva portato lui e non volevo essere visto come il giocatore di suo di riferimento. Ero sempre contrariato, volevo dimostrare che ero libero di pensiero e che meritavo di stare lì. Quell’atteggiamento è stato un errore».
Lei ha giocato contro Rino Gattuso, ora è ct dell’Italia: se lo sarebbe mai aspettato?
«Ho giocato anche con De Zerbi e mai mi sarei aspettato che sarebbe diventato un allenatore così bravo. Di Gattuso non sono assolutamente meravigliato».
Per lei è stata la scelta giusta?
«La Nazionale ha bisogno di senso di appartenenza e chi meglio di lui può trasmettere questo valore? Rino è vivace, caloroso. Predisposto alla crescita ed ha una qualità che non è da tutti: sa ascoltare, parla in faccia».
Lo sa che il suo presidente Udassi è stato un ottimo attaccante?
«Tra l'altro abbiamo un amico in comune, Antonio Papa che ha giocato a Sassari. Quando la Torres mi ha contattato, un po’ mi sono informato e di Udassi tutti ne parlano benissimo. Papa mi ha detto: è un gigante buono, una persona seria che sa farsi valere, che conosce la materia».
È un vantaggio avere al vertice uno che è stato sul campo?
«Lo è sicuramente. Una delle cose che mi ha detto durante le nostre conversazioni prima della firma è stata: non entrerò mai nel merito delle scelte tecniche, lo farò solo per confrontarci. Avere la possibilità di avere di fronte una persona competente, ti dà spunti di riflessione in più».
Risponda senza veli: ha detto sì alla Torres, perché?
«La scintilla è stata avere di fronte una società che negli ultimi anni ha fatto un percorso di crescita importante. Ha costruito una squadra con caratteristiche tecniche che a me piacciono».
Vuol dire che saranno in tanti a essere confermati?
«Tenere in rosa i giocatori più importanti è il primo passo. Mi piacciono i calciatori di gamba che attaccano lo spazio e vanno profondità. In qualche zona interverremo e gli acquisti dovranno sposarsi con le mie proposte».
Col ds Andrea Colombino come avete approcciato?
«Adesso si dirà che voglio fare una sviolinata. Invece è quello che penso: ha mostrato di avere le conoscenze della categoria e di saper scovare giovani promettenti».
Conosce qualcuno dei giocatori che ha in rosa?
«Fischnaller è stato un avversario in passato. Ho visto giocare la Torres qualche volta. Nei momenti in cui non allenavo mi sono aggiornato e sono andato a vedere delle partite».
La sua famiglia la seguirà in questa esperienza in Sardegna?
«No, i miei figli studiano, la più grande a Roma. Viaggerò».
Allora, buon lavoro.
«Grazie, non vedo l’ora di cominciare questa avventura».