La Nuova Sardegna

La società senza futuro Tra tombe e culle un equilibrio negativo

di GIANFRANCO BOTTAZZI
La società senza futuro Tra tombe e culle un equilibrio negativo

Il problema della denatalità grave anche in Sardegna L’inutile chiusura delle frontiere dettata dalla paura

09 marzo 2016
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di GIANFRANCO BOTTAZZI

C'era da aspettarselo. Nonostante fosse fenomeno noto da tempo, l'Istat pubblica i dati della popolazione, delle nascite e delle morti, relativi al 2015 e lo scoop è servito. In Italia un numero di morti senza precedenti e un numero di nati spaventosamente ridotto. Insomma si fanno sempre meno figli e il numero dei morti eccede sistematicamente il numero dei nati. Risultato ovvio: la popolazione diminuisce e, poiché anche l'apporto dei flussi migratori che si fissano stabilmente in Italia si riduce (contrariamente a quanto fanno credere gli allarmismi strumentalmente agitati dai più vari demagoghi), la popolazione invecchia in modo marcato.

C'era anche da attendersi che si scatenasse il filone italico del complottismo: l'aumento delle morti sarebbe la conseguenza dell'inquinamento, delle scie cosmiche, dell'ozono, delle porcherie che ci mettono negli alimenti, delle vaccinazioni e così via. Fenomeni, tutti, dei quali sarebbe bene preoccuparsi, ma che nel caso specifico non c'entrano. Vero è che si vive sempre più a lungo, ma è anche vero che il balsamo della immortalità non è stato ancora inventato. Logico perciò che, con una popolazione in età avanzata sempre più numerosa, il tasso di mortalità (ossia la probabilità di morte) non possa che aumentare. Se, contemporaneamente, non nascono bambini, il fenomeno assume il carattere di un circolo vizioso. Insomma, sono le ferree leggi della demografia, e non c'è nulla da stupirsi.

In Sardegna non va meglio, anzi semmai va peggio (vedi tabella). E in Europa, chi più chi meno, la situazione è altrettanto inquietante: nessun Paese, neanche quelli che sviluppano da anni politiche determinate per favorire la natalità (come la Francia o i Paesi scandinavi), raggiunge quella soglia di 2,1 figli in media per ogni donna che rappresenta il tasso di fecondità con il quale semplicemente si riproduce la popolazione esistente. Se l'Europa - e l'Italia in essa - non registra un vero e proprio crollo lo si deve agli immigrati. In Sardegna, neanche gli immigrati compensano un calo degli abitanti che consegue non solo a poche nascite, ma anche a un saldo migratorio negativo conseguenza dei Sardi, giovani soprattutto, che se ne vanno.

Insomma, un quadro fosco, del quale si discute poco, del quale la politica discute ancor meno. Forse perché gli scenari che questo quadro disegna sono veramente inquietanti. Una società che non fa figli è infatti, in tutta evidenza, una società malata, una società senza futuro. È già avvenuto tante volte nella storia che intere civiltà e società sparissero per consunzione demografica. È la volta dell'Europa (e della Sardegna)?

Di fronte al fenomeno della denatalità e del declino demografico, le spiegazioni che vengono più spesso avanzate chiamano in ballo la crisi, le scarse opportunità di occupazione, le difficoltà delle giovani coppie a metter su casa, insomma le difficoltà materiali. La spiegazione vera è molto più complessa ed è su di essa che dovremmo esercitarci. Non si fanno figli, o se ne fanno pochi e tardi, perché le nostre s. ocietà sono impaurite dai mille rischi, veri o presunti, che si vedono all'orizzonte, dal timore egoistico di perdere quel po' di benessere e di consumo al quale abbiamo avuto accesso, dalla paura delle responsabilità, da un individualismo che viene da lontano ma che sempre più, nella cosiddetta seconda modernità, presuppone un "io" autosufficiente e indipendente, che vuole essere libero di assecondare la ricerca delle proprie soddisfazioni e che dunque vede come un impaccio un figlio che, per bene che vada, condiziona la tua esistenza per venti o trenta anni. Certo, le insicurezze del contesto nella società neo-liberista non aiutano, ma è piuttosto questo complesso appena accennato di fattori che dovremmo esplorare, certi che, senza capire questo, eventuali politiche e incentivi avrebbero effetti tutto sommato di scarso rilievo.

Nello scenario preoccupante del declino demografico, appare ancora più incomprensibile l'ottusa chiusura di molti alla problematica dell'immigrazione. Premesso che – anche qui la storia è maestra, se solo la si vuole ricordare! – non c'è muro o filo spinato che possa fermare flussi che oggi premono alle frontiere delle cittadelle (invecchiate) del benessere. Che si tratti dell'Europa, degli Stati Uniti, del Giappone o dell'Australia, quanto potranno resistere le fortezze all'assalto dei più miseri? È paradossale che i Paesi che oggi esprimono maggiori chiusure e intolleranza, sono proprio quelli che hanno maggiori problemi di declino demografico. Cosa faranno, tra trent'anni, i fascisti ungheresi, o i nazionalisti polacchi o slovacchi? O i nostri leghisti sempre più fascisti? Dato che tra trent'anni scarseggeranno i giovani aitanti da inquadrare militarmente (e quelli arruolabili non ne avranno verosimilmente voglia), manderanno alle frontiere a difendere i confini truppe composte di mercenari siriani o eritrei? Avevano fatto così anche gli antichi Romani, ma questo aveva solamente rallentato la caduta dell'Impero. Per secoli, tuttavia, nell'Impero romano si circolava liberamente e, alla fine, i "barbari" furono in gran parte romanizzati. Non sarebbe il caso di attrezzarsi con politiche lungimiranti nei confronti di flussi di immigrazione che comunque dureranno ancora per anni e anni?

Gianfranco Bottazzi è ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Cagliari

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