La Nuova Sardegna

«Cultura e un po’ di buon senso contro la svendita del folclore»

di Giacomo Mameli
«Cultura e un po’ di buon senso contro la svendita del folclore»

Francarosa Contu combatte la mercificazione delle tradizioni dell’isola Aumenta il “fai da te” ma crescono i gruppi che studiano e si documentano

26 agosto 2016
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NUORO. Chissà se anche quest'anno rivedremo sfilare (tra pochi giorni al Redentore, ma è già avvenuto per Sant'Efisio a Cagliari e alla Cavalcata Sarda di Sassari) gente in costume con nastri tecnicolor made in Taiwan a bordare ragas o ghette o belle ragazze ancheggiare su tacchi dodici, svettare su zeppe di sughero sudamericano o camminare in processione perfino su ciabatte. I pericoli ci sono tutti anche «se è finalmente in aumento il numero dei cultori che costituiscono un fronte critico importante», dice Francarosa Contu, nuorese, responsabile del settore Museo dell'Istituto regionale etnografico, fra le massime esperte di folk e di abbigliamento tradizionale. Di formazione classica, allieva di Giovanni Lilliu ed Enrica Delitala, non è tenera nei giudizi ma è difficile contestare le sue affermazioni.

Qual è la qualità dei costumi che oggi sfilano durante le sagre?

«Esistono differenze abissali tra i costumi, o meglio, può essere abissale la differenza nei modi di indossare capi originali o ricostruiti addirittura tra quelli provenienti dalle stesse località. Oltre alle “interpretazioni” dei singoli, sono talvolta i gruppi folk di un medesimo paese o città a proporre versioni spesso assai diverse tra loro. I motivi sono i più vari. Poiché detesto le banalizzazioni, dirò che spesso gruppi di nuova formazione propongono versioni assai accurate sia nella ricostruzione dei capi che nel modo di indossarli. Tale fatto può provocare vere e proprie “crisi” dato che l'abitudine acritica ha talvolta assuefatto l'occhio e direi anche il cuore in favore di modelli vestimentari del tutto inventati. La ricerca seria e il ritorno a vere fogge tradizionali può in alcuni casi, essere mal tollerato dalla collettività locale. L'intelligenza e la perseveranza degli appassionati e dei ricercatori, la capacità di spiegare le scelte operate saranno comunque vincenti, se basate su un metodo di lavoro rigoroso nel rispetto della cronologia, dei tessuti e delle tecniche sartoriali e di ricamo e dello “stile” o “moda” vestimentaria locale".

Costumi che peggiorano in qualità?

«In generale, nonostante compaiano qua e là indicibili brutture, il livello medio è invece in continuo miglioramento ed esistono casi di vera eccellenza. È anche da considerare che se aumenta il numero del pericoloso “fai da te similtradizionale tanto chi vuoi che se ne accorga” è in aumento anche il numero dei gruppi folk che studiano, si documentano e rispettano la tradizione. Cresce anche la professionalità dei dirigenti gruppi folk».

Che cosa non si può accettare?

«L'invenzione becera e ignorante mascherata con aggettivi roboanti quali: magico, arcaico, incontaminato e via con amenità e sciocchezze simili. C'è molta ignoranza dei tempi e della vita reale nei quali i nostri abiti tradizionali si sono formati. Nessun sardo dovrebbe gradire di essere definito “figurante in costume”. È anche inaccettabile che chi indossa capi tradizionali spesso non conosca a fondo ciò che indossa e, talvolta, neppure il nome corretto nella variante linguistica locale. La profusione di finti gioielli sardi, l'iper-ornamentazione dell'ultimora, la proposta di abiti “tutti uguali” o fuori taglia, fuori misura, camicie non stirate, neonati vestiti da sposi, il tacco 12, zeppe, zatteroni, scarpe delle fogge più disparate. E, per favore, non diciamo che tanto piacciono ai turisti».

Che cosa si deve pretendere?

«La riproposizione delle fogge tradizionali usate nelle diverse località. Non esiste un momento unico nel quale certe mode si formano né una durata uguale, ogni caso richiede cura e fedeltà. Gli abiti rivestivano le persone e costituivano un forte segno di riconoscimento tra le diverse comunità, sono dunque un patrimonio culturale importante, simbolico e, si direbbe oggi, identitario, perciò ogni sardo ha il diritto/dovere di pretendere rispetto per un valore collettivo di tale portata e per il quale siamo anche conosciuti e apprezzati nel mondo. Più in generale si deve pretendere vero rispetto per la nostra cultura abbinati al normale esercizio del buon senso. Il resto, piano piano, viene da solo».

Qual è il futuro del folclore sardo?

«Non saprei dire. L'aspetto vestimentario, per paradosso, è più semplice da controllare perché è quasi sempre possibile stabilire un momento che segna l'abbandono in toto o in parte delle fogge tradizionali; potrebbero essere creati veri e propri abiti di scena che, senza la pretesa di essere uguali al vero, potrebbero essere utilizzati per gli spettacoli in tutto il mondo, riservando i preziosi originali e le sue riproduzioni fedeli ai momenti celebrativi nell'Isola? Per tutti gli altri tutti gli aspetti del cosiddetto folclore, il canto, nelle varie forme, la musica, la danza, la poesia, gli stessi carnevali, per non parlare delle feste e sagre religiose, si moltiplica la complessità dell'analisi e si rende indispensabile il parere di esperti di settore».

Come evitare la mercificazione del folclore?

«Conoscenza, cultura, rispetto sarebbero buoni antidoti. Consiglio a tutti di leggere Assandira di Giulio Angioni: struggente, illuminante, un'analisi vera e dolente dei risultati di certe forme di mercificazione».

Quanti sono i gruppi folk?

«Oggi sono oltre 350, quasi uno per paese. In diversi centri ce n'è più d'uno».

Quale la percentuale dei gruppi autentici?

«Non ho statistiche. Ma un'analisi seria non farebbe male ad alcuno».

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