Da Nuoro al Premio Nobel: biografia della Deledda scritta la Luciano Marrocu
Tra pubblico e privato: riscostruzione saggistica ed evocazione letteraria La fuga dalla Barbagia, il lavoro, il desiderio di autoaffermazione, gli amori
Anticipiamo una parte del capitolo numero 15 del libro di Luciano Marrocu “Deledda. Una vita come un romanzo” (99 pagine, 19,50 euro), che la casa editrice Donzelli manda in libreria domani.
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Parte alle nove di mattina il treno per Milano, da dove Grazia Deledda e consorte ne prenderanno un altro che li porterà a Berlino. Nella capitale tedesca si fermeranno un giorno intero per poi ripartire per Copenaghen, ultima tappa prima di Stoccolma. È una piccola folla quella che li accompagna alla Stazione Termini e attende con loro di fronte ai binari che il treno completi la manovra di aggancio dei vagoni, finita la quale i passeggeri prenderanno posto. (...) Si succedono saluti e controsaluti, finché il treno arriva con in testa una locomotiva FS 746 di nuova concezione, nuova quanto può essere una locomotiva a vapore in un tempo in cui l’elettrificazione incalza. La locomotiva è un gigante di 93 800 kg. (...)
Giornalisti cortesi
L’ha colpita positivamente il modo di fare dei giornalisti a Stoccolma. Se li aspettava di stile per così dire americano, capaci di piazzarle le loro macchine fotografiche in faccia e che storpiassero il suo cognome. Sono stati, invece, tutti cortesissimi. Qualcuno, addirittura, masticava un po’ d’italiano. l’ha preceduta una nomea di donna timida, dedita soprattutto al marito e ai figli. È su questa immagine, più che sul suo lavoro di scrittrice, che i giornalisti svedesi costruiscono il personaggio. Perché un personaggio lo è, più degli altri premiati presenti a Stoccolma, che intanto sono tutti maschi e poi cultori di discipline – fisica e medicina – certo utili all’umanità ma che non scaldano il cuore come lo scalda, a volte, la letteratura. Non che l’immagine che le hanno cucito addosso sia di suo gradimento. Soprattutto s’infiamma, cosa che non è nel suo carattere, quando qualcuno attacca la solfa della «modestia». «La leggenda della mia modestia – risponde secca – è appunto una leggenda. Non voglio dire superba, che è un tratto sgradevole, ma un artista deve essere consapevole, se è un artista, del valore delle sue creazioni. Quanto a me, ho lavorato con fiducia nelle mie capacità ed è quindi giusto che io riceva questo riconoscimento». Un nuorese che, avendo avuto familiarità con la Deledda da ragazza, la sentisse pronunciare queste parole penserebbe che il Nobel un po’ le ha dato alla testa. Nel 1927 le donne barbaricine mica parlano così. Di una cosa è grata ai giornalisti che l’hanno intervistata, di non aver tirato fuori la faccenda del «temperamento artistico»: se l’avessero fatto sarebbe stato per sottolineare come lei proprio non sembra averlo un «temperamento artistico». Come se per mostrare un temperamento artistico occorresse, allo stesso modo della Madame Chauchat della “Montagna incantata”, sbattere le porte dietro di sé quando si entra in una stanza. È grata a loro anche di non aver giocato la carta della «sensibilità femminea», come usano fare i critici italiani.
Solo la quinta elementare
C’è anche una versione ufficiale su chi sia veramente Grazia Deledda e la fornisce lei stessa con la scheda autobiografica che gli organizzatori del Nobel distribuiscono ai giornalisti. «Sono nata in una piccola città della Sardegna, Nuoro. Mio padre era un proprietario terriero benestante che coltivava la sua terra. Era un uomo molto ospitale e aveva amici in tutti i paesi del circondario, i quali quando si trovavano a Nuoro per affari o per qualche ricorrenza religiosa stavano da noi. Negli amici di mio padre e nelle loro famiglie, ho intuito quelli che sarebbero stati poi i personaggi dei miei romanzi. Ho frequentato solo la scuola elementare e mi ha dato qualche lezione privata d’italiano un maestro. È stato lui, per primo, a incoraggiarmi a scrivere. Quando mi è capitato tra le mani un giornale di moda, ho copiato l’indirizzo e ho mandato un mio racconto, che mi è stato pubblicato. Poi ho scritto il mio primo romanzo, “Fior di Sardegna”, l’ho mandato a un editore a Roma, che l’ha pubblicato. Ha avuto un certo successo, ma il mio primo grande successo, nel 1903, è stato “Elias Portolu”, che è stato prima tradotto dalla «Revue Des Deux Mondes», poi in tutte le principali lingue europee».
Il professor Schück
Il 10 dicembre è il giorno del conferimento del premio, che avviene nel Palazzo dei concerti alla presenza del re Gustavo e di un’ampia rappresentanza della famiglia reale. Il cerimoniale prevede un’alternanza di brani di musica classica – Beethoven, Grieg, Händel, tra gli altri – e discorsi dal palco di premiatori e premiati. Il professor Henrik Schück, presidente della Fondazione nobel oltreché figura di primo piano della vita letteraria svedese, tiene una vera e propria conferenza nella quale spiega che nessuno in Italia scrive romanzi di una profondità paragonabile ai migliori di Grazia Deledda. Che a fare la forza di questi romanzi è la conoscenza maturata dalla scrittrice di gosos e mutos, oltre che delle leggende e delle tradizioni della Sardegna. Che la scrittrice è dedita alla causa dell’uomo più che a una teoria o a un’ideologia. E che Alfred Nobel proprio a opere letterarie di profondo valore morale intendeva fosse destinato il premio.
Una foglia nel vento
Ciò detto il podio si apre ai premiati, tra cui la Deledda. Il suo discorso di ringraziamento è un piccolo miracolo di concisione: «Io non so fare discorsi, mi contenterò di ringraziare l’Accademia Svedese. Lo stesso vale per l’altissimo onore che, nel mio modesto nome, ha concesso all’Italia e di ripetere l’augurio che i vecchi pastori di Sardegna rivolgevano ai loro amici e parenti: Salute!… Salute al re di Svezia, salute al re d’Italia, salute a voi tutti signore e signori! Viva la Svezia. Viva l’Italia». Poi una raffica di banchetti e ricevimenti. Il primo la sera stessa della premiazione, offerto dall’Accademia di Svezia. Il clou di tutta la faccenda, la sera dopo, è il banchetto a Palazzo Reale, 250 invitati, tra i quali Selma Lagerlöf, la scrittrice svedese che nel 1908 è stata la prima donna a vincere il Nobel per la letteratura. Non risulta che le due scrittrici si incontrino, ma anche se si incontrassero avrebbero difficoltà a intendersi, difficoltà che non c’è con Gustavo V, il re infatti parla un discreto italiano. In questo turbinio, scrive ai figli, si sente come una foglia trascinata dal vento. Giuliva non lo è mai stata né lo sarà mai, questa volta però è visibilmente contenta: di rompere il solito tran tran, di viaggiare per l’Europa, di aver vinto il Nobel, persino.
© 20016, Donzelli editore, Roma