La Nuova Sardegna

La storia di Claudio: quando la crisi ti cancella il futuro

La storia di Claudio: quando la crisi ti cancella il futuro

Anticipiamo i primi capitoli del romanzo di Christian Floris “Canzoni d’inverno” (184 pagine, 12 euro), che la casa editrice Cuec manda in libreria oggi. * * * 0. Deep Purple - Highway star (Reprise)...

31 ottobre 2016
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Anticipiamo i primi capitoli del romanzo di Christian Floris “Canzoni d’inverno” (184 pagine, 12 euro), che la casa editrice Cuec manda in libreria oggi.

* * *

0. Deep Purple - Highway star (Reprise)

(sabato 13 luglio, ore 1.12)

Li vedo, nello specchietto retrovisore, illuminati dalla luce dei lampioni. Uno di loro si avvicina, mentre rimango immobile, seduto, le mani sul volante, la cintura allacciata. La pistola e sotto il sedile, ma non sarà necessario usarla: io non amo le pistole. E soltanto una precauzione, una semplice precauzione. Non si sa mai.

Spengo l’aria condizionata e abbasso il finestrino, il caldo di questa sera d’estate è una coperta umida e scura. Ho la bocca amara. Un minuto prima mi e tornato su un rigurgito gastrico, all’inizio dell’esofago, simile a quello che sentii quindici giorni fa, nell’appartamento di Quinto Moro. La sera del pugno allo stomaco.

Sono nervoso e sto sudando, la camicia e bagnata. Le gambe vanno su e giù, facendo leva sugli avampiedi. Pulsazioni a centosessanta. Ma non devo avere paura, andrà tutto bene. Niente cazzate e andrà tutto bene.

Apertura

Esco di casa, il sole e già alto: preannuncia l’inizio di una nuova storia. La mia storia, la tua storia. Storie di ognuno di noi, pronte a intrecciarsi e a dipanarsi, con un preciso inizio e una fine da inventare. Storie da telegiornale, titoli da prima pagina o trafiletti di cronaca nera confinati nei tagli bassi. Da qualche mese ho preso l’abitudine di fare colazione a casa, non posso più permettermi cappuccino e cornetto al Fiordaliso. Peccato, c’era gente simpatica, una barista carina e il Corriere dello Sport sistemato puntualmente sopra il freezer dei gelati. Però adesso ricordo il colore della mia tazza, respiro l’aroma pieno e rassicurante del caffè che emerge sbuffando dalla moka. Il conto corrente mi garantisce ancora una buona autonomia, ma ora non si scherza più: devo trovare il modo.

Apro lo sportello e salgo sulla Volkswagen, nei sedili e sulla cappelliera aleggiano ancora i profumi di cera e detersivo del lavaggio manuale. Un giro di chiave e il cruscotto s’illumina come un albero di Natale, poi l’auto scorre placida tra due file di pini imboccando il vialetto centrale verso il cancello automatico. Collego la penna usb, mi guardo intorno e saluto la signora Letizia, che torna a casa con le buste della spesa. Dopo, è una partenza come tante altre.

1. A-ha - Riding the crest

(giovedì 27 marzo, ore 9.30)

Forse avrei dovuto accorgermene prima. Sì, questo è stato il mio errore: aver pensato di potercela fare, comodo e tranquillo. Pensare che la crisi economica era un problema di altri, lontani da me, un problema che si affacciava soltanto accendendo la radio e la televisione, leggendo i quotidiani. Ma è dopo otto mesi di disoccupazione che capisci di esserti preso in giro, di essertela raccontata dolce e serena e invece era un gran casino. E allora sotto con gli A-ha, tornati sulla breccia da pochi anni, a cavalcare la cresta di una splendida onda. Il loro nordico e spavaldo ottimismo è ciò che mi ci vuole, per non cadere nella tentazione di sprecare il tempo di oggi. Basso, tastiere e batteria sono eterei e sofisticati, un paio di occhiali da sole sugli occhi e via a centodieci orari, per cercare nuove opportunità. La strada statale è battuta da un sole accecante, con un traffico veloce di gente indaffarata. Ai lati mi scorrono le stoppie bruciate della campagna, distributori di benzina e grigie officine meccaniche: languono e sussurrano fatica e declino, con le loro insegne spente. Freccia lampeggiante a destra e la rampa del terzo svincolo mi immette nell’ultimo tratto, verso la prima destinazione della mattina.

Accade durante l’ascolto del middle-eight, quando la canzone punta decisa al sol maggiore: il synth-pop di questi cinquantenni norvegesi cattura e scuote. Devo dirlo a Ciccio, appena sarà il momento. Resterei in macchina a godermi il sapiente impasto dei cori nella coda finale, ma ho trovato parcheggio davanti all’agenzia di lavoro.

Raccatto dal sedile posteriore una busta col mio curriculum e mi tolgo gli occhiali da sole: conferiscono un’aria da uomo-che-non-devechiedere- mai piuttosto stonata e fuori luogo. Sembrano comunicare che non ho bisogno di lavoro e di aiuto.

La segretaria dell’agenzia mi conosce, non è la prima volta che mi presento da lei: raccoglie la mia candidatura deponendola in un porta-documenti di plexiglass e mi da il benvenuto col suo sorriso abituale e artefatto. Sul bancone che mi separa da lei, s’intravedono le briciole di uno spuntino e un bicchiere di carta, contenente una bevanda scura non meglio identificata: chinotto o Coca-Cola? Parliamo un po’, come va, come non va, una conversazione fiacca che termina ancora prima di cominciare. Lei risponde per educazione e guarda il suo orologio da polso due volte in venti secondi: e abbastanza cortese da non dirmelo in modo diretto, ma mi fa capire che deve continuare con il suo lavoro. Messaggio afferrato, un cenno di saluto e via, alla prossima meta.

Sono sei mesi che compio questa processione: per ora, niente di nuovo o dignitoso. Della mia laurea in giurisprudenza non importa niente a nessuno, arrivano soltanto proposte di tirocini gratuiti per imparare la professione di avvocato in studi grandi e avviati. Meglio starsene a casa. Se potessi ricominciare, forse m’iscriverei a psicologia o in filosofia, come mio fratello: non per trovare un lavoro sicuro, ma almeno per gestire meglio le mie crisi d’ansia. O per ragionare con cognizione di causa e argomenti sul senso della vita, magari dell’aldilà, perché fatico a rintracciare un senso per quella terrena. La cassa integrazione è finita da un pezzo, qualcuno dei miei colleghi ha già tentato la fortuna all’estero, in Germania o Inghilterra, altri in Canada, e mi chiedono cosa sto aspettando a raggiungerli. Chi è rimasto o tiene famiglia, oppure – come me – resta sospeso nel limbo di coloro che sperano nonostante tutto. Ma col passare dei giorni, la speranza assomiglia di più alla stupidità e alla mancanza di coraggio e mi fa compagnia col suo insopprimibile rumore, per quanto sembri il rumore della saracinesca metallica di uno stabilimento che chiude e non riaprirà.

© CUEC EDITRICE 2016

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