La Nuova Sardegna

Dai detenuti di Rebibbia un omaggio a Borsellino

di Giuseppe Pulina
Dai detenuti di Rebibbia un omaggio a Borsellino

Al Teatro del Carmine di Olbia “Il corno dell’Olifante”, portato in scena dalla compagnia “Stabile assai”

23 novembre 2017
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TEMPIO. Nella settimana che sarà ricordata per la morte di Toto Riina, Tempio è stata la prima tappa sarda della Compagnia Stabile Assai di Rebibbia. La presenza nella città gallurese del gruppo teatrale costituito in parte da detenuti del carcere romano e fondato 35 anni fa da Antonio Turco è stata propiziata dalla Settimana internazionale della giustizia riparativa. La pura casualità ha voluto che la Compagnia mettesse in scena al Carmine proprio uno spettacolo dedicato a Paolo Borsellino, il giudice che, insieme alla sua scorta e poche settimane dopo la morte di Falcone, la mafia fece letteralmente saltare in aria.

Uno spettacolo per ricordare, dunque, ma anche, se non soprattutto, per riflettere sul lascito di un magistrato che sapeva bene a quale sorte sarebbe andato incontro. Quanto basta per spiegare il titolo dello spettacolo messo in scena martedì scorso al Teatro del Carmine (“Il corno di Olifante”) che suggerisce un esplicito collegamento tra due figure a loro modo epiche: il giudice barbaramente ucciso dalla mafia e Orlando, il paladino di Carlo Magno che, consapevole della fine imminente, rifiuta di suonare il corno per chiedere il soccorso di altri soldati, temendo di esporli a una morte quasi sicura. Proprio come il giudice Borsellino, che, dopo Falcone, decise di operare nella retroguardia e non suonare il suo corno.

Sul palco del Carmine la storia di Borsellino è stata narrata attraverso i piccoli quadri di un’esistenza travagliata. Una piacevole cornice musicale, costruita con brani di Modugno, Rino Gaetano e Almamegretta, ha fatto da collante alle diverse scenette. In una di queste, Borsellino s’intrattiene con il fantasma di Falcone. Ne nasce un dialogo che ripropone un altro celebre scambio di battute: quello tra Socrate, ormai prossimo alla condanna a morte, e i suoi discepoli che vorrebbero farlo evadere. Come fu per Socrate, anche per Borsellino non ci saranno alternative al destino, nessuna credibile alternativa per non fare quello che non poteva non essere fatto. Ma questa, più che rassegnazione ad una sorte non modificabile, sarà l’assolvimento di un obbligo morale, il compimento di una vocazione che, chiamata alla prova estrema, non poteva non compiere l’ultimo, meditato passo.

Il messaggio lanciato dalla Compagnia di Rebibbia è stato chiaro e forte. Il pubblico, costituito soprattutto da studenti, ha dimostrato di apprezzarlo, tanto per il valore dei suoi contenuti, quanto per la perizia degli attori che hanno dato vita allo spettacolo.Quella di Borsellino è, d'altronde, una figura amata dai più giovani: l'eroe in carne e ossa, l'icona di una legalità ancora possibile, da riscoprire e difendere.

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