La Nuova Sardegna

Le donne delle greggi, l’altra metà dei pascoli

di Paolo Curreli
Foto di Anna Kauber
Foto di Anna Kauber

Il documentario sulle pastore girato dalla filmaker Anna Kauber che in due anni ha attraversato tutta l’Italia con la sua Panda

06 ottobre 2018
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Ha percorso 17mila chilometri in due anni, dal 2015 al 2017, con la sua Panda a metano gialla, ma ha anche attraversato le epoche in un viaggio nel tempo nell’universo dei pastori che sopravvive alla modernità dell’allevamento industriale.

Anna Kauber, paesaggista, scrittrice e regista di Parma, è andata a cercare le pastore, donne che dai pascoli delle Alpi alla dorsale montuosa degli Appennini, dall’Aspromonte fino alle greggi della Barbagia, hanno scelto un mestiere difficile e in via di estinzione portando nuova linfa e un approccio diverso all’allevamento. Da questa esperienza è nato il documentario “In questo mondo”. Una scelta femminile che pare in contraddizione con un mestiere duro che la modernità ha spinto ai margini, caricando la figura del pastore di disvalori: “sporco e puzzolente, retrogado e ignorante”. «Ho trovato donne determinate e curiose, autonome e accoglienti – racconta Anna Kauber –. Delle storie di dignità e consapevolezza e un’esperienza formidabile di accoglienza e sorellanza che mi ha donato molto anche come persona». Chi sono queste donne che scelgono di stare dietro al gregge, pastorelle oleografiche o persone che sfuggono alla civiltà?

Nuovo equilibrio. «Niente di tutto questo. C’è Sara, laureata, che lascia il lavoro di Milano e ritorna nell’Appennino dei suoi genitori ad allevare le pecore cornigliesi in via di estinzione. La violinista Caterina, passata dal conservatorio ai pascoli di Cortina d’Ampezzo. Maria unica figlia che decide di occuparsi del gregge lasciato in eredità dal padre. Le straordinarie donne e ragazze sarde». Nelle parole di Anna Kauber c’è l’entusiasmo della ricercatrice e della donna che ha trovato in queste scoperte e relazioni gli aspetti fondanti della sua maniera di vedere il mondo. Un rapporto nuovo, ma antico, di equilibrio con la natura. L’attività dell’uomo, nell’agricoltura e nell’allevamento, come salvaguardia del territorio. «Pastore, femminile plurale. Queste donne rappresentano il nuovo pastoralismo, quello evoluto dell’apertura e degli scambi – spiega Anna con convinzione – . Hanno portato in un mondo chiuso, maschile individualista, la capacità di scambio e condivisione femminile, confermando quello che dicono le statistiche: le aziende guidate dalle donne hanno una percentuale di innovazione maggiore. Sono mosse da esigenze economiche: trovare un lavoro, e culturali: creare un’attività sostenibile con le migliori pratiche». L’allevamento è lo scenario ideale delle capacità femminili. «Certo, perché significa prendersi cura, generare, continuare la vita, allevare appunto – spiega – . Il gregge è femmina, i pochi montoni servono alla riproduzione. Poi sono le donne a preservare la sapienza, a tesorizzare le esperienze, a fare l’album di famiglia e conservare la memoria.

Nell’isola delle pecore. «Nell’iniziativa che ho ideato del Gemellaggio delle tre pecore indirizzata a salvare le varietà ovine italiane in pericolo di estinzione, le donne sono state in prima fila. Dopo questa e altre esperienze hanno continuato a cercarsi utilizzando i social, a muoversi dall’Oltrepò per andare a caseificare a Monreale, dal Friuli alla Ciociaria per scambiarsi competenze». L’allevamento, il gregge, il pastore, in Sardegna rappresenta un’industria fondamentale e l’universo del pastoralismo, forse quello più identitario conservativo e persistente, ma sempre sotto l’impronta maschile. «Le donne sarde che ho incontrato hanno una potenza espressa formidabile e una ancora tutta da esprimere ancora più potente che mi ha meravigliato – racconta Anna Kauber –. Zia Michela di Orgosolo, 102 anni, è la donna più anziana che ho incontrato per il documentario. Con un italiano perfetto, difficile da trovare nelle donne della sua età qui da noi, e una capacità di esprimersi formidabile, mi ha accompagnato nel mondo ormai scomparso della pastorizia arcaica. Con aneddoti ed esempi ha tessuto un racconto emozionante, rivelandomi quanto le donne fossero importanti in quella cultura». Anna Kauber si commuove rivelando la profonda empatia, materna e filiale, che l’ha legata alla vicenda delle giovani sorelle di Nulvi, Marica e Lucia, e della loro madre. «È nata un’amicizia profonda. Ho seguito la loro storia per il documentario passo passo e mi sento profondamente legata a loro – confessa la videomaker parmigiana –. Quando il padre si è ammalato si sono trovate davanti a un bivio: vendere il gregge o farsene carico. Hanno coraggiosamente scelto la seconda strada.

Coraggio sardo. «Senza corrente elettrica o una tettoia per ripararsi dalla pioggia, hanno munto a mano e portato il latte al consorzio, ogni giorno, con il loro pandino smarmittato. Ma sempre con una volontà incrollabile e il sorriso sulle labbra. Adesso Lucia ha ricostruito il gregge ed è a tutti gli effetti pastora. Scelta fatta anche da Marta che, sempre a Nulvi, sta collaborando con successo al gregge di famiglia. E poi c’è Efisia – continua Anna Kauber – , una bellissima signora di Arbus: “Non volevo stare sola a pulire la casa, in campagna mi sono realizzata”. È la frase che rende meglio la sua scelta di indipendenza, adesso che ha superato i 60 i figli vorrebbero che si riposasse ma lei continua ad andare all’ovile, mette il collirio alle pecore se hanno qualche problema agli occhi. Ho conosciuto Francesca e suo marito, che allevano capre semi selvatiche in Ogliastra e producono un formaggio eccezionale. Michela, di Perdasdefogu, nuova figura di imprenditrice che antropologicamente rappresenta il passaggio dal patriarcato all’apertura al mondo di oggi». Nella ricerca tra 17 regioni e 100 interviste Kauber ha incontrato le donne della diaspora, dell’emigrazione negli anni ’50 e ’60 che ha portato i pastori dell’Appennino Tosco Emiliano e quelli della Sardegna a incontrarsi nei pascoli della Maremma. «Dal Nord arrivavano a svernare con le greggi, dall’isola per cercare una vita nuova – spiega la documentarista –. Si sono fermati in Toscana e nel Lazio e qui ho trovato la differenza sociale e antropologica. L’emiliana mi ha raccontato che aveva sempre fatto la pastora itinerante, facendo la stessa vita dei maschi e confessando, con un sorriso complice, “mi divertivo anche molto”. La sarda: “I nostri uomini ci rispettavano, non ci hanno mai mandato fuori casa col gregge”, contenta di un ruolo, in fondo, subalterno».

La sorellanza. Accomunate tutte da una vita in fondo dura e difficile. «Sì, illuminante la storia dell’anziana che ho intervistato in un ospizio del Piemonte – racconta Anna Kauber – . Una vita fatta di fatica e privazioni dietro il gregge col marito, che non le ha risparmiato violenza e privazioni e che non ricordava con piacere: “Le donne venivano sempre per ultime, dopo i maschi, le pecore e i cani. Mio marito andava a bere e al suo ritorno non mancavano mai le botte”. Un contesto di degrado dove le donne erano, come è accaduto spesso, le ultime degli ultimi. Tutti incontri importanti per Anna Kauber. «È stato come ritrovare delle sorelle, riconoscersi immediatamente – ricorda –. Dormire con loro nella baita e nell’ovile, condividere i ritmi del quotidiano, parlare delle nostre vite, delle gioie e dei fallimenti. Efisia mi disse: “È come se ti conoscessi da sempre”, è stato così anche per me. Io vengo da te, dormo da te, ridiamo e piangiamo insieme, è una parte fondamentale del racconto del film. La donna di città colta, che arriva e chiede, che vuole imparare, queste donne l’hanno percepito come un riconoscimento alla loro sapienza, e la penso così anche io.

« Perché la cosa fondamentale – conclude Anna Kauber – è che la scelta di queste donne di oggi, che voglio tutte rincontrare, non è stata quella di scendere in basso nella scala sociale o di tornare indietro nel tempo ma quella di scegliere un ritmo di vita, un contatto con la natura e l’essenza del proprio lavoro che le ha portate a essere delle privilegiate».
 

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