La Nuova Sardegna

Giovanni Spano, i nuraghi e la Città eterna

di LUCIANO CARTA

Da oggi in edicola il settimo volume della collana “Storia di Sardegna” dedicato allo studioso della cultura dell’isola 

29 novembre 2019
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Il 20 agosto 1831 Giovanni Spano, dopo un viaggio avventuroso, era giunto a Roma e aveva preso alloggio in una locanda presso Piazza Navona. Assetato, si era avvicinato ad una bancarella da fruttivendolo e, dietro sua richiesta, gli fu offerto da una giovinetta un grappolo d’uva che egli rifiutò dicendo che non lo voleva perché non gli sembrava «cotto». La ragazza lo canzonò subito dicendo che a Roma non si usava cuocere la frutta, ma che il grappolo era buono e «maturo» e poteva senz’altro prenderlo. L’episodio, narrato dallo stesso Spano nell’autobiografia, brioso racconto della sua vita apparso tra il 1876 e il 1878 sulla rivista sassarese «La Stella di Sardegna», veniva così commentata dal protagonista : «Appresi che le frutta, quando non sono acerbe, si dicono “mature” e non “cotte”. Posso dire che quella villanella fu la mia prima maestra di Roma».

Chi per avventura ha avuto occasione di leggere la prosa dello Spano, infarcita di espressioni trasferite di peso dal sardo all’italiano, sa bene che la lezione di quella prima maestra romana di lingua italiana egli non l’avrebbe mai realmente imparata, sebbene i numerosi suoi scritti (circa 500 titoli a stampa), tutti dedicati alle antichità, alla lingua e alla storia della Sardegna, abbiano contribuito in modo decisivo a far conoscere la nostra isola ai dotti di tutta Europa.

Nato a Ploaghe nel 1803, il più celebre archeologo sardo dell’Ottocento si era formato a Sassari. Sacerdote nel 1825, per tre anni era stato maestro elementare nelle scuole di San Carlo, ma, sempre desideroso di approfondire le sue conoscenze, sentiva il bisogno di raggiungere la Città eterna per approfondire l’ebraico e le lingue orientali. Fu guidato da ottimi maestri, tra cui il semitista Andrea Molza e il futuro primate d’Inghilterra cardinal Nicholas Wiseman. Nel 1834 il governo piemontese lo incaricò dell’insegnamento della lingua ebraica nell’Università di Cagliari. Da quel momento egli vivrà fino alla morte, avvenuta nell’aprile 1878, nel capolugo. Senonché, dedicatosi agli studi di linguistica sarda, le autorità accademiche lo privarono della Cattedra nel 1844 perché ritennero poco consono al suo incarico accademico occuparsi di grammatiche e studi vari. Gli venne in soccorso il vecchio suo maestro, da poco nominato arcivescovo di Cagliari, Emanuele Marongiu Nurra, che gli offrì il Canonicato di Villaspeciosa.

Ad onta dei suoi “persecutori”, tra il 1834 e il 1856, lo Spano si era occpuato assiduamente di lingua sarda logudorese, percorrendo palmo a palmo la Sardegna centro-settentrionale alla caccia di parole, reperite con il contatto diretto con la gente. Talvolta anche con qualche serio rischio personale, come quando un fabbro di Orgosolo, nella cui bottega era andato per farsi denominare tutti gli arnesi dell’arte, pensando che gli volesse fare l’inventario con il fine recondito di scovare qualche magagna, presa in mano una gran mazza, «con una faccia da Vulcano» gli intimò di uscire subito a pena di stramazzarlo al suolo. Così il “pretino” cacciatore di parole dovette darsela a gambe.

Frutto di questa prima fase della sua attività di studioso, la “Grammatica del sardo logudorese” (1840) e il “Vocabolario sardo” (1851-1856). A coronamento delle sue ricerche linguistiche, su incarico del principe Luigi Luciano Bonaparte,tradusse e fece tradurre nelle varianti della lingua sarda il Vangelo di Matteo e altri brani biblici. Fu attraverso queste traduzioni che i glottologi europei poterono usufruire di testi della nostra lingua per gli studi linguistici.

La fama dello Spano è però in prevalenza dovuta alla sua attività di archeologo, che iniziò ufficialmente nel 1851 con una monografia su Tharros, tradotta poi in inglese, e la celebre “Memoria sopra i nuraghi di Sardegna” del 1854, che inaugurava una stagione del tutto nuova sull’interpretazione di questi tipici monumenti sardi, non più considerati come edifici funerari ma come abitazioni. Ma l’operazione con cui egli pose difinitvamente all’attenzione dei dotti d’Europa la Sardegna coincise con la pubblicazione, per dirci anni consecutivi, della rivista mensile “Bullettino archeologico sardo” (1855-1864) e successivamente con un annale, “Scoperte archeologiche della Sardegna”, che uscì fino a due anni prima della morte. Il Canonico percorreva in lungo e in largo l’isola durante due escursioni annuali (in primavera e in autunno) e non vi fu paese di cui egli non abbia illustrato le antichità e i monumenti civili o religiosi.

Ciò favorì grandemente lo scambio epistolare (attualmente in corso di stampa a cura di chi scrive e giunto al 3° di sette volumi presso la Ilisso di Nuoro), che ha del prodigioso: un centinaio di illustri corrispondenti in Italia e in tutta Europa, tra cui, per citarne qualcuno, Theodor Mommsen, Auguste Boullier, abbé Bourgade, Amedeo Peyron, Giuseppe Pitrè, Quintino Sella, Giovani Lanza, ecc. Grazie a questi contatti il Canonico fu nominato socio corrispondente dei più illustri sodalizi culturali nei diversi paesi. La pubblicazione dell’epistolario, rimasto a lungo sepolto nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e negli archivi, offre un’immagine concreta della statura intellettuale di Spano e offre la possibilità di una «rilettura» in dimensione europea della cultura sarda del secolo XIX.

Ma l’apoteosi internazionale dello Spano si ebbe in occasione del quinto Congresso preistorico svoltosi a Bologna nell’ottobre 1871. Celebrato come il decano degli archeologi d’Europa, fu festeggiatissimo da parte di tutti i convegnisti – i maggiori cultori delle scienze dell’antichistica provenienti da tutti i paesi europei –, gli fu conferita la medaglia d’oro per la migliore mostra espositiva di reperti archeologici. Per questo il Comune di Bologna lo insignì della cittadinanza onoraria, mentre il Comune di Cagliari, per il lustro dato alla Sardegna in occasione di quel convegno bolognese, fece coniare una medaglia celebrativa in suo onore.

Il riconoscimento più importante gli venne però dal governo dell’Italia unita, allora presieduto dal suo grande amico Giovanni Lanza: a coronamento dei suoi meriti straordinari di studioso, subito dopo la conclusione del Congresso preistorico di Bologna, il 15 novembre 1871 Vittorio Emanuele II lo nominò Senatore del Regno. Una nomina che causò al Canonico non pochi dispiaceri, considerato che non poté mai prendere possesso del seggio per il veto del Vaticano dopo la Breccia di Porta Pia.

Una figura, dunque, quella di Giovanni Spano, che merita di essere riscoperta e studiata come quella di grande divulgatore della conoscenza della nostra isola nel mondo e come benemerito della cultura senza vincoli geografici.



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