La Nuova Sardegna


Enrico Costa, il biografo dell'amata Sassari

di PAOLO CAU *
Enrico Costa
Enrico Costa

In edicola con la Nuova il volume dedicato allo storico che dedicò gli studi di una vita alla sua città

27 dicembre 2019
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Il 13 agosto del 1862, vigilia della festa dei Candelieri, nello slargo sino a non molti anni prima occupato dalla chiesa medievale di Santa Caterina, il sindaco don Simone Manca inaugurava il monumento in onore di Domenico Alberto Azuni, «sommo giureconsulto concittadino». Del “Comitato Azuni” facevano parte, in qualità di membri onorari, personalità della caratura di Giuseppe Manno, Pietro Martini e soprattutto Pasquale Tola, il “Muratori sardo”, gloria della storia sassarese. L’appena ventunenne Enrico Costa, “scritturale” presso la Regia Tesoreria, guardava dal basso in alto non solo l’Azuni «fatto a statua» (la prima eretta in città) ma anche gli altri tre che stazionavano nell’empireo dei padri del “nazionalismo” letterario sardo: praticamente inarrivabili per lui − forte solo di una più che robusta formazione letteraria, frutto di una febbrile applicazione da autodidatta onnivoro, e di una poliedrica applicazione alle arti; unici antidoti a sua disposizione per superare un’adolescenza dickensiana–.

Un po’ per forza e ancor più per convinzione, Costa si ritroverà «figlio di Sassari che non fu grande altrove per essere rimasto figlio in casa» – per dirla con Salvator Ruju – mettendo le sue qualità al servizio della città. E Sassari apprezzò, non si rivelò “matrigna” al figlio Enrichetto rimuovendo, a mo’ di parentesi, la “prima” vita lavorativa trascorsa da Costa nel settore del credito: gli oltre venti anni da bancario e gli ultimi due tormentati da quasi-banchiere, che lo indussero nel 1894 a trovare naturale approdo all’Archivio del Comune.

ÉLITE. Il lavoro in banca non aveva tarpato la dedizione di Costa alle passioni della sua vita, anzi. A quel tempo, faceva parte a buon diritto dell’élite culturale sarda: era già conosciuto al di là dei confini isolani come giornalista, librettista, novelliere. Ma soprattutto aveva già dato alle stampe da un decennio il primo volume del Sassari: «opera paziente di molti anni di lavoro e che lungamente dirà di quel suo figlio audace e volenteroso» aveva pronosticato Salvatore Farina (che era stato compagno di classe di Enrichetto dagli Scolopi); pur coi limiti di impianto storiografico ormai unanimemente riconosciuti. Soprattutto i professionisti della storia non gli perdonavano l’approssimazione e l’assenza di rigore. Di certo, grazie a Costa, un centro della provincia italiana assurgeva a protagonista di una bella storia urbana, potendo vantare su un’opera a suo modo “monumentale”, degna di città più grandi e titolate; tra le cui pagine era possibile rintracciare in filigrana i tratti fondanti dell’identità sassarese.

Forse non a caso, proprio in quel 1894, il destino lavorativo di Enrico Costa finì per incrociare quello di Pompeo Calvia in quel particolare contesto “ambientale” che era l’Archivio Comunale. Non erano propriamente coetanei (Costa aveva sedici anni più di Calvia) ma si conoscevano “da una vita” ed erano diventati amici e sodali: troppi gli interessi in comune – in una città vivace ma dagli orizzonti tutto sommato circoscritti come la Sassari del tempo – perché le due intelligenze non potessero non incontrarsi. Li accomunava l’eclettismo artistico e la formazione da autodidatti. Per una consolidata storiografia, Enrico Costa e Pompeo Calvia si ritroveranno a esercitare, a loro modo, un ruolo se non proprio da intellettuali “organici” senz’altro da interpreti della nuova classe dirigente di Sassari incarnandone lo spirito laico e progressista: Costa come uno degli esponenti più coerenti nel versante della ricostruzione della memoria civica; Calvia come cantore di una sorta di epopea “zappadorina” della città. Ci piace credere che la condivisione degli spazi dell’Archivio Comunale possa avere in qualche misura facilitato questa loro maturazione: a dispetto della polvere e della spartanità (per usare un eufemismo) degli arredi, che proprio Pompeo Calvia ha saputo tramandare alla piccola storia letteraria cittadina con una struggente invenzione.

Come lo fu il cantare il dolore per la morte di Enrico Costa in un sonetto (“buttato giù” il giorno stesso della scomparsa dell’amico-collega) attraverso la commiserazione della sua postazione di lavoro: il povero tavolino tarlato e traballante di quell’esempio di virtù, lavoro, amore e umiltà che era stato Enrichetto, di cui sino a quel giorno aveva condiviso tutti gli affanni. E soprattutto quel cruccio, pesante come un macigno, per i destini della sua diletta Sassari per la quale aveva invocato pietà paventandone lo scadimento a paese − da città qual era– espressione di consolidate funzioni metropolitane («timendi chi no torria che una bidda»). Su una Sassari dall’identità così “sospesa” – con annesse ambasce, verrebbe da dire – ha gettato lo sguardo, alla sua maniera, Salvatore Mannuzzu in un’estemporanea lectio magistralis proprio in chiusura del bel convegno dedicato a Enrico Costa nel centenario della morte (2009): ricordandoci che «la misura grettamente municipale non è mai stata la nostra» perché «Sassari era un cuore che batteva in un corpo più grande del suo»; e che per storia, memoria e suo comprovato destino, la città si sarebbe salvata solo se fosse riuscita a rappresentare un territorio assai più vasto dei suoi confini comunali.

GENIUS LOCI. Le iniziative condotte in città nell’ultimo decennio per ricordare i cento anni della morte di Costa hanno avuto il merito di riscoprirne la multiforme personalità, delineando un’immagine finalmente compiuta del grande concittadino che con la dedizione alla sua Sassari meglio ha saputo interpretarne il genius loci; e non solo per la versatilità e prolificità dell’impegno in ambito storico-archivistico, artistico, letterario e giornalistico. Ma anche per la profondità del suo insegnamento morale e civile: non appaia eccessivamente prosaico il pensare al ruolo di fondatore e poi presidente “perpetuo” della società Cucine Economiche, nata per aiutare quella buona fetta di popolazione cittadina esclusa dalla soddisfazione di bisogni primari come il pasto quotidiano. Per tutto questo, Enrico Costa rappresenta la figura simbolo “piena” di quello spirito civico di cui la Sassari dei nostri giorni avrebbe sicuramente bisogno.

*Storico , per 20 anni

alla guida dell’Archivio

storico comunale di Sassari
 

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