La Nuova Sardegna

Ombretta Colli: la mia vita accanto a Gaber

di ALESSANDRO PIRINA
Ombretta Colli: la mia vita accanto a Gaber

Le tappe di una lunga carriera tra musica, teatro e politica. Il ricordo della mamma sarda

11 aprile 2020
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La sua carriera è iniziata sulla passerella di Miss Italia. Poi sono arrivati il cinema, la musica, la tv, il teatro, la politica. E il grande amore con Giorgio Gaber. Ma in realtà Ombretta Colli i suoi primi passi li ha mossi a Gadoni, il paese della mamma Franca Ortu.

Nata a Genova da padre milanese e da madre sarda. Qual è il suo legame con l’isola?
«Sento forti le radici sarde anche perché il rapporto con mia madre è stato fondamentale. Avrei però voluto vivere di più a contatto con questa terra meravigliosa. Ma ho dedicato troppo tempo al lavoro a scapito di alcune cose che oggi forse un po’ rimpiango. La Sardegna è unica come del resto tutte le isole abbastanza grandi da sviluppare in modo autonomo una propria cultura; anzi, una propria civiltà unica e irripetibile».

Che donna era sua madre?
«Mia madre è la figura fondante della mia vita perché a lei si riconducono tutti gli imprinting primari che un bambino assorbe e fissa in modo indelebile nel suo modo di vivere e di pensare. Mia madre era una donna fortissima. Una dignità infinita anche nelle ristrettezze economiche e una determinazione credo insuperabile a difendere me, sua figlia, e più in generale la famiglia. Forse non al suo livello, ma credo di aver cercato a mia volta di trasmettere questi valori alle persone che amo, in primo luogo a mia figlia e a mio marito finché è stato con noi. Anche per Dalia è stata una figura decisiva. Quasi una seconda mamma, anche più tigre di me, prima ancora che una nonna».

È stata spesso nell’isola?
«Con il mio teatro, soprattutto negli anni ’80 e ’90. Anni bellissimi di lavoro con una compagnia di poche persone ma molto affiatate e unite. Erano quelle le occasioni per rivedere i parenti e stare un po’ con loro».

Altri ricordi della Sardegna?
«Nell’infanzia mi è capitato, ma poche volte, di andare con mia madre a trovare i parenti. Ho un ricordo meraviglioso di una grandissima cucina rustica con tante donne vestite di scuro indaffaratissime a preparare il pranzo e ridere e parlare ad alta voce tra di loro in una lingua per me assolutamente incomprensibile. E poi a tavola il carasau di cui ero pazza».

Come sono stati gli inizi della sua carriera?
«Avventurosi ma esaltanti. Mia madre comunque, pur a distanza, sorvegliava. Sono stata fortunata. Non so sinceramente quanto fossi brava, non sta a me dirlo, ma sicuramente avevo un bel piglio che in molte occasioni, anche nei tanti provini e selezioni cui ho partecipato, si è rivelato vincente. Da subito però preferivo il teatro al cinema. La musica sarebbe arrivata dopo. Anche la tv è arrivata un po’ dopo grazie soprattutto a Gaber che, quando ci siamo conosciuti, era già noto e apprezzato».

L’incontro con Gaber: che ricordo ha di quel momento?
«La prima volta ci siamo incontrati su un set fotografico per delle pose che sarebbero dovute servire per la copertina di un suo 45 giri: “Benzina e cerini”. Ma fu un incontro esclusivamente professionale. In quell’occasione Giorgio non mi sembrò neppure simpatico! Poi, parecchio dopo, ci siamo incontrati in una casa di Roma piena di gente dello spettacolo e della televisione. Lì per lì nemmeno mi riconobbe. Ma fu in quell’occasione che scattò la scintilla. Ci siamo rivisti poco dopo a Milano e nacque il nostro indistruttibile rapporto».

Un grande amore, ma anche un sodalizio artistico: com’era lavorare insieme a suo marito?
«Giorgio era allo stesso tempo molto rispettoso e molto esigente. Era un perfezionista e non si risparmiava mai. Dava molto e molto pretendeva ma sempre con rispetto per tutti coloro che lavoravano con lui. Il suo modo di essere sul lavoro sostanzialmente rifletteva il suo modo di comportarsi nella coppia e in famiglia. Per cui il lavoro con lui, a parte fisiologici screzi coniugali, era impegnativo ma sempre costruttivo e gratificante».

Al cinema ha lavorato con maestri come Petri, Magni, Scola: che esperienze sono state?
«Grandi maestri! Con Petri girai come protagonista femminile “Buone notizie”. Fu l’ultimo film di un maestro che ha lasciato capolavori alla cinematografia mondiale. Con Magni girai “Arrivano i bersaglieri” con Ugo Tognazzi. Con Scola feci “La terrazza”, film pluripremiato. Scola era un grandissimo signore oltre che un validissimo regista».

Capitolo musica: sei album, Canzonissima, ma mai a Sanremo. C’è un perché?
«Ciò che ha caratterizzato il miei successi discografici è stata la scelta di interpretare un repertorio che si ispirasse soprattutto alla nostra grande tradizione popolare, capace di dire cose anche originali e provocatorie ma con melodie molto orecchiabili e accattivanti. Anche Gaber condivideva queste mie scelte. Però, televisivamente, non erano particolarmente gradite ad autori e produttori che privilegiavano canzoni magari melodicamente più ricercate, ma dai contenuti sostanzialmente innocui».

Alla fine degli anni ’60 il suo chitarrista fu un giovanissimo Franco Battiato.
«Franco si presentò una mattina a casa nostra chiedendo di poter parlare con Gaber. Era un giovane sconosciuto appena arrivato dalla Sicilia. Provai immediata simpatia per lui per cui lo feci accomodare e facemmo colazione. Gaber stava dormendo e ci raggiunse alcune ore dopo e rimase sorpreso da questa strana presenza. Fu quella mattina che decidemmo che lui sarebbe stato il chitarrista del mio gruppo che nasceva in quei giorni».

Nel 1994 il suo impegno politico con Forza Italia fece scalpore: Gaber è sempre stato di sinistra. Come reagì suo marito?
«Soprattutto, prima ancora che di sinistra, Gaber era un autentico democratico e persona attenta e rispettosa delle esigenze altrui. Mi incoraggiò nella decisione perché sentiva che per me era un passo molto stimolante. Anche se, proprio in quel periodo, anche attraverso i suoi spettacoli, dimostrava una disaffezione sempre maggiore verso la politica che vedeva trasformarsi sempre di più in un’attenzione esagerata per i politici».

Parlamentare europea, senatrice, presidente della Provincia, assessora. Tra i ruoli ricoperti quale ha amato di più?
«La presidenza della Provincia di Milano è stata sicuramente l’esperienza politica, anzi tengo a dire amministrativa, più difficile e stimolante. C’erano ampie possibilità di fare cose concrete. Mi sentivo davvero partecipe e anche responsabile di scelte e azioni che avrebbero avuto una ricaduta visibile e tangibile per i cittadini».

Che effetto le fa vedere la sua Lombardia colpita così duramente da questa pandemia?
«È un effetto devastante e straniante. Prevale lo sgomento. Ma oltre al dolore e alla costante preoccupazione c’è l’ammirazione per tutti coloro che si adoperano per aiutare. Il personale sanitario, innanzitutto. Davvero eroici. Ma anche tutti coloro che aiutano in modo disinteressato. C’è un concetto che mio marito amava molto ed è quello di “Appartenenza”. È un valore di incalcolabile importanza che oggi, fortunatamente e forse inaspettatamente, si fa sentire».

C’è una canzone di Gaber che lei ama più di tutte le altre?
«Ha scritto davvero tanto ed è impossibile scegliere un brano in particolare. Però “Un uomo e una donna” la amo particolarmente perché mi riguarda molto da vicino. Quando la scrisse, con Sandro Luporini, Dalia era da poco incinta. Gli dissi che avrebbe potuto intitolarla “Un nonno e una nonna”».

Con sua figlia Dalia e la Fondazione ogni anno organizzate il festival in onore di suo marito. Lei ha deciso di condividere col pubblico la grande eredità artistica lasciata da Gaber.
«Non avremmo potuto agire diversamente. Giorgio amava intensamente il pubblico che lo seguiva con ammirazione e affetto. Non potevamo che continuare a tenerlo il più possibile vicino alla gente. Con festival, manifestazioni, iniziative editoriali e da qualche anno, grazie a nostro nipote Lorenzo, nelle scuole»

Tanti artisti che hanno cantato Gaber: una cover preferita?
«È incredibile la disponibilità che tanti artisti famosi e stimati hanno dato agli inviti della Fondazione e di Dalia in particolare. Non me la sento di dire quali siano le cover preferite. Mi limito a ricordare il tributo del mio grande amico Battiato che ha interpretato l’unica canzone non scritta da Giorgio, ma che Gaber incise: “Te lo leggo negli occhi” del grande Sergio Endrigo».

Cosa direbbe Gaber dell’Italia e della società di oggi?
«Io non me lo chiedo, ma in tanti lo fanno. Suggerisco sempre loro di andare ad ascoltare quello che Gaber e Luporini hanno cantato e scritto nel loro Teatro-Canzone. Ci sono risposte attuali, lucide e sorprendenti anche alle vicende di oggi».

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