La Nuova Sardegna

Le antiche leggende dell'isola. Arrivano le "Storie di animali"

Salvatore Tola
Le antiche leggende dell'isola. Arrivano le "Storie di animali"

Da giovedì 21 con la Nuova il sesto volume della collana "Fiabe di Sardegna"

19 maggio 2020
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Giovedì 21 (al prezzo di 7 euro più il costo del quotidiano) sarà in edicola con La Nuova il sesto volume della collana "Fiabe di Sardegna", intitolato "Storie di animali". Tutti i racconti raccolti si collegano a una ricca tradizione regionale. E chissà, ad esempio, se qualche abitante anziano di Mores ricorda ancora la favola di Chiginera? Un tempo era nota nel paese, veniva tramandata dai genitori ai figli o, più spesso, dai nonni ai nipoti. Lo sappiamo perché uno studioso forestiero la raccolse e la pubblicò, nel 1882. Era il milanese Pier Enea Guarnerio che, venuto subito dopo la laurea per insegnare nei licei, era interessato come linguista ai dialetti sardi. «Sa contanscia de Chiginera» era stata raccolta dalla voce di «una contadina settantenne di Mores, certa Maddalena Saba».Sin dalle prime righe ci si rende conto che è una delle tante varianti della storia di Cenerentola; e d'altra parte è evidente che anche il nome sardo deriva da quello della cenere: «chigina», «chijìna». La prima particolarità è che la protagonista non è un'orfanella adottata ma una normale figlia, che ha a che fare con due sorelle e un padre appena rimasto vedovo; ma vive un po' a parte, e svolge i compiti più umili, perché è «isimprota», sempliciotta.

Non si parla di una festa al palazzo reale, l'incontro con il principe capita durante la messa della domenica, come avveniva nei villaggi per i giovani di un tempo. Chiginera colpiva l'attenzione perché disponeva di vestiti di lusso ed era seguita da domestici che erano scaturiti da una mandorla e da una noce inviatele in dono da un misterioso «puzzone medianu», uccello mediano. Fedele al cliché il particolare della scarpa perduta, che in questa versione è «de prata», d'argento; ma sarà il principe in persona a impegnarsi nelle ricerche, fino a rintracciare l'amata intenta «in coghina» ai lavori domestici. La ricerca di Guarnerio si era estesa alle aree settentrionali e centrali dell'isola; qualche anno più tardi un suo collega, il calabrese Francesco Mango, svolse un lavoro analogo in quella meridionale. Ebbe l'opportunità di farlo perché insegnava a Cagliari (nell'istituto tecnico «Martini»), e perché sposò una sarda, Emilia Lippi, dalla quale ebbe l'aiuto necessario per districarsi tra i dialetti di quelle regioni. La sua raccolta fu ospitata nel 1890 in una collana di «Curiosità popolari tradizionali» diretta a Palermo da Giuseppe Pitrè. Le «novelline» - come le chiamava - sono in tutto 26.In tempi più recenti la raccolta più importate, intitolata opportunamente «Sos contos de foghile» (I racconti del focolare), è quella pubblicata nel 1984 da Franco Enna. Vi compaiono, seguite dalla traduzione in italiano, novanta tra fiabe e leggende, raccolte sul campo nelle aree settentrionali e centrali, sino al Marghine e al Montiferru.

L'autore-raccoglitore distingue i «Contos de birbantes e de maccos» dalle «Contascias e paristorias» e dai «Contos leggendarios»; e dedica giustamente particolare attenzione alla storia di Bachis Pedde, che aveva raccolto nella frazione di Pedra Bianca, sperduta nei monti tra Buddusò e Olbia. Colpisce infatti per la somiglianza con l'incontro tra Ulisse e Polifemo raccontato da Omero nei suoi poemi. L'antagonista per Bachis, che era «unu cazzadore», è il diavolo in persona, ma riesce ugualmente a prendersene gioco. Non pensa a rovinargli la vista, come aveva fatto Ulisse, ma riesce a fargli scottare le gambe; e così trova il modo di fuggire. Accorrono in aiuto del capo gli altri diavoli, ma lo lasciano perdere perché, quando gli chiedono chi gli avesse dato fastidio, risponde «Memme e tottu», Io stesso: era il nome che aveva dato di sé Bachis, proprio come Ulisse, quando aveva detto a Polifemo di chiamarsi Nessuno.

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