La Nuova Sardegna

Festival dei Popoli, apertura nel segno di Patti Smith

di Fabio Canessa
Festival dei Popoli, apertura nel segno di Patti Smith

Il direttore nuorese della rassegna fiorentina parla di un’edizione che parte sfidando il Covid 

15 novembre 2020
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La vetrina del documentario più antica d’Europa. È il Festival dei Popoli, una privilegiata finestra sul mondo aperta a Firenze nel 1959 che quest’anno per la chiusura delle sale dovuta all’emergenza Coronavirus si sposta online come già sperimentato da altre manifestazioni cinematografiche. I film, 48 di una trentina di Paesi diversi, si potranno vedere nello spazio virtuale «Più Compagnia» sulla piattaforma MYmovies.it da oggi al 22 novembre con un abbonamento di 9.90 euro.

Un’edizione, la 61esima, che porta la firma di Alessandro Stellino: nuovo direttore artistico dello storico festival. «Abbiamo iniziato a sviluppare il progetto – racconta il critico nuorese – quando non era ancora successo quello che sappiamo e continua a riguardarci oggi. L’idea era lavorare sulla struttura della manifestazione, un festival storico fondato nel 1959, personalizzandola con il mio sguardo. La mia nuova direzione artistica. Ovviamente poi a fine febbraio-inizio marzo la situazione è radicalmente cambiata e abbiamo cominciato a immaginare scenari possibili per i mesi successivi. E si è capito subito che avremmo potuto fare affidamento sulle piattaforme di streaming nel momento in cui sarebbe stato difficile utilizzare le sale, com’è purtroppo successo questo autunno con la nuova ondata di contagi».

Il web quindi come ancora di salvezza per molte manifestazioni, pur con le chiare differenze tra un festival reale che si svolge in un luogo fisico e uno virtuale che si sviluppa attraverso il web. «Io penso – sottolinea Stellino – che un festival debba essere in presenza. Assolve a molti ruoli ed è un’occasione unica per vedere determinati film che è giusto vengano visti al cinema perché il grande schermo è ancora la destinazione principale di qualsiasi opera cinematografica. Ed è la fruizione ideale per uno spettatore, in mezzo ad altre persone, con la possibilità di incontrare poi il regista e attivare un dialogo, uno scambio. Però bisogna fare di necessità virtù e l’idea che ci siano delle piattaforme che ci permettano di portare i film fuori anche dai confini cittadini e renderli disponibili a tutti attraverso uno schermo a casa, vuol dire allargare il bacino degli spettatori».

Comunque questa edizione del Festival dei Popoli non sarà completamente online, sperando la situazione sanitaria migliori l’organizzazione ha già previsto una seconda parte da tenere al cinema a Firenze. «Avevamo in mente un programma con circa 100 titoli tra lunghi e corti. Ne portiamo sulla piattaforma streaming la metà. Quelli che mancano, come i film delle retrospettive dedicate a Tizza Covi e Rainer Frimmel e l’altra al rumeno Radu Jude, li faremo in presenza quando le sale riapriranno in una sorta di coda del festival». Anche se in una versione online così, on demand, è difficile pensare di costruire una narrazione del programma non manca un’opera inquadrata come film d’apertura. Una prima mondiale molto attesa perché dedicata a Patti Smith, un’icona della musica e non solo. Diretto da Edoardo Zucchetti il documentario dal titolo “Patti in Florence” è un particolare ritratto di una artista rinascimentale (cantante, scrittrice, poetessa, fotografa, rocker) che ha trovato nell’Italia e in Firenze la sua terra di adozione. «Abbiamo inserito questo film – precisa Stellino – in una piccola sezione dedicata alla musica di cui fanno parte altre due opere: “Sisters With Transistors” di Lisa Rovner, sulle pioniere della musica elettronica, e “Bring Down The Walls” di Phil Collins che attraverso il prisma della house music racconta il sistema carcerario americano legandosi alla questione razziale».

Cuore del festival il concorso internazionale con una selezione, composta da 18 film inediti in Italia, che mette in evidenza la ricchezza di temi e la varietà di stili che caratterizzano il documentario contemporaneo. A questa si affianca una competizione solo italiana con sette lungometraggi in anteprima assoluta, tra i quali il nuovo lavoro di Duccio Chiarini intitolato “L’occhio di vetro”. Da segnalare anche una sezione chiamata Habitat, che vuole portare all’attenzione del pubblico una questione fondamentale come il rapporto dell’essere umano con l’ambiente naturale. Una problematica che riguarda tutti perché legata alla sopravvivenza del nostro pianeta e della nostra specie.

«Nelle scelte dei film – evidenzia Alessandro Stellino – ci siamo mossi seguendo in particolare due direttive. Da una parte la volontà di rendere conto di una geografia del documentario più ampia possibile, guardando quindi anche ai paesi d’Europa più piccoli, all’Asia, all’Africa, al Sud America. Farci così testimoni di un racconto globale. Dall’altra ci siamo mossi con l’idea di puntare soprattutto sulle opere di giovani registi, per questo ci sono nel programma diverse opere prime e seconde. Con l’obiettivo di scoprire nuovi autori sia in ambito italiano sia in quello internazionale, cercando sempre di mantenere un livello qualitativo alto».

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