La Nuova Sardegna

Da Croce a Soru, storia delle norme salva paesaggio

di Sandro Roggio
Da Croce a Soru, storia delle norme salva paesaggio

La legge voluta dal filosofo napoletano nel 1922, la Costituzione, il Codice Urbani e il Ppr del 2006

19 febbraio 2021
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La tutela del paesaggio in Italia è tra i principi costituzionali, ma occorre vigilare. Tanti interessi premono per allentare le regole da cui dipende l’integrità di eccellenti scenari che appartengono alla comunità nazionale. Il paesaggio non è al sicuro, ce lo ricordano continuamente il degrado che avanza dappertutto, le controversie ricorrenti su progetti che minacciano luoghi storici ed ecosistemi pregiati. I motivi per cui allarmarsi non mancano. D’altra parte le buone leggi per impedire abusi contro il pubblico interesse sembrano inefficaci. E Salvatore Settis lo ha ricordato spesso, rimarcando il danno prodotto dal «fuoco amico» tra poteri pubblici, dal conflitto di competenze tra Stato e Regioni laddove le progressive conquiste delle Autonomie sono servite «più per vanificare la tutela che per affinare l’esercizio delle competenze».

RISORSE PREZIOSE. Capita di constatare l’insofferenza delle Regioni verso le limitazioni stabilite dall’articolo 9 della Costituzione secondo cui «La Repubblica (...) tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Espressione sintetica con cui si dichiara solennemente la volontà di un coordinamento centrale in senso unitario per la conservazione di risorse preziose per il Paese. Il compito sovraordinato è stato assegnato dai Costituenti alla Repubblica e non allo Stato, per corrispondere meglio alle attese di coinvolgimento delle Regioni. Il cui ruolo non è di poco conto, assicurato in tutte le fasi decisionali: dalla individuazione dei beni, alla pianificazione, al rilascio delle autorizzazioni. In leale collaborazione con gli organi ministeriali. Specialmente nel corso della formazione del piano regionale, che dovrà avvenire congiuntamente con il Mibact e non sono ammissibili iniziative unilaterali.

UN IMPEGNO MORALE. La procedura prevista nel Codice è ispirata dall’articolo 9 della Costituzione, benemerito. Sintesi del lungo dibattito che si è svolto tra Otto e Novecento con esiti importanti. Tra i protagonisti Benedetto Croce, grazie al quale si è dato l’avvio alla serie di moderni provvedimenti dello Stato in materia di protezione dei beni culturali, un impegno a cui il filosofo dava un valore morale. La legge n. 778 del 1922 è stata approvata per la sua appassionata perseveranza; e nonostante la scarsa propensione dei parlamentari a imporre restrizioni all’iniziativa privata. Come era già accaduto in occasione del dibattito sulla legge n. 364 del 1909 per la salvaguardia dei “beni d’arte e di antichità”, approvata malgrado le rimostranze del partito del mercato antiquario.

Croce aveva preso spunto dall’esperienza diretta, mosso dalla preoccupazione di preservare le vedute attorno a Napoli a rischio di eccessive trasformazioni. Una questione già sollevata, come risulta dai rescritti borbonici che avevano posto regole alla edificazione per conservare i profili di Mergellina, Posillipo, Capodimonte. La legge Croce – “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di interesse storico” – è stata un’innovazione essenziale nella storia d’Italia.

IL FASCISTA BOTTAI. In questo solco stanno le due leggi approvate nel 1939 per la determinazione del ministro Giuseppe Bottai: una sui beni storico-artistici, l’altra sulle “bellezze naturali”. Un’opportuna distinzione tra i due ambiti da proteggere all’interno di una solida visione che troverà dopo pochi anni l’adeguata sistemazione nella Carta (Salvatore Settis ha scritto sul percorso singolare delle due leggi fasciste “costituzionalizzate”). Approvate tre anni prima della legge urbanistica n.1150 del 1942 – ancora oggi vigente –, le leggi Bottai sono rimaste a lungo a presidio di arte e natura del Belpaese. E ancora resiste quell’impostazione via via confermata: infine recepita nel Codice voluto da Giuliano Urbani nel 2004. Un compendio normativo sui beni culturali di grande accuratezza, molto puntuale sulla pianificazione paesaggistica continuamente avversata da schiere di speculatori. Uno scudo a protezione dei caratteri che rappresentano «l’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali» – come avverte l’articolo 131 che introduce alla parte terza del Codice.

CONTRO LA CARTA. Sono frequenti i tentativi delle istituzioni regionali di ampliare il raggio d’azione oltre i limiti previsti dalla legislazione, nello sfondo le pressioni per attenuare i vincoli. Una rischiosa propensione osteggiata dalle numerose pronunce dei giudici costituzionali, intransigenti sulla competenza esclusiva dello Stato nella conservazione del paesaggio, anzitutto di tipo legislativo; mentre «l’intervento regionale in materia di paesaggio è di livello pianificatorio-amministrativo» – ha più volte affermato la Consulta. La quale, passo dopo passo, ha fatto chiarezza sul groviglio di deleghe alle Regioni con riguardo a urbanistica, ambiente, paesaggio (dpr 616/1977, legge n. 431 del 1985, riforma del Titolo V della Costituzione del 2001). I giudici costituzionali hanno ribadito che il piano paesaggistico non esiste senza la copianificazione, un orientamento confermato anche di recente nel giudizio che il 17 novembre 2020 ha annullato una decisione della Regione Lazio. Spiegando che il piano paesaggistico non è riformabile in modo spiccio. Men che meno da una legge regionale, come ha precisato la Corte con la nota sentenza n.182-2006.

IL PIANO DI SOLINAS. Un rilievo che potrebbe riguardare il cosiddetto piano-casa approvato dalla Regione Sardegna il 18 gennaio 2021. Con il quale si modificano le previsioni del Piano paesaggistico regionale approvato dalla giunta guidata da Renato Soru nel 2006, consentendo, tra l’altro, l’edificazione nella fascia costiera, che a termini di Ppr è ben più estesa dei 300 metri dal mare rimasti fuori dal piano-casa per iniziativa del presidente. C’è quindi chi ritiene che la legge sarda possa essere impugnata dal governo e sottoposta al parere della Consulta. Per accertare se la tutela costituzionalmente garantita del patrimonio paesaggistico d’interesse pubblico e da salvaguardare nella sua interezza sia invece stata subordinata ad altri interessi. Grazie alla Costituzione si può sperare che sulla famiglia dei beni culturali del Paese (le coste sarde come Venezia, la Val D’Orcia, le Dolomiti, i boschi abruzzesi, ecc.) ci sia un’attenzione alta che ne impedisca la manomissione. Nell’interesse della comunità nazionale.

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